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“TEMPO DI CHET” in scena all’Auditorium: La recensione
Rarefatta l’atmosfera, delicato il fraseggio, morbido il suono che apre l’orecchio all’altrove; è appoggiato al legnoso bancone di un bar
Rarefatta l’atmosfera, delicato il fraseggio, morbido il suono che apre l’orecchio all’altrove; è appoggiato al legnoso bancone di un bar
Il riposo, l’eleganza, il desiderio di operare nel segno di una semplicità “esaltata come fine supremo dell’arte” – cosi interpretato
L’immagine è infinitamente riproducibile, l’uomo, risucchiato dall’apparato scenografico (Flavia Mastrella)cambia luogo e posa, irrefrenabile fino a rendersi multiforme, onnipresente perché
Lui inginocchiato a terra, lei ferina, ora schiva ora rabbiosa si muove a scatti nella sua traiettoria: è il movimento
Una luce opaca avvolge il proscenio, illumina fioca il gesticolare di Capannelle; è il bizzarro personaggio ad introdurci nella Roma
Nel viale buio, un uomo; chiama un altro uomo, con una scusa lo esorta ad affacciarsi dalla finestra, a sporgersi;
Due donne confabulano, parlottano, rassettano la stanza; un’eccentrica colf, un’anziana signora, attendono curiose l’imminente arrivo degli ospiti. E’ nel tranquillo
Gremiti, s’affollano i personaggi, articolano le loro traiettorie fra i cubi dorati, tra le pareti bronzee; travolti da un ritmo
Buio, buio profondo, dietro le sbarre scure di una finestra s’intravede il cielo d’un luogo remoto, unico punto di fuga
Aleggia sul proscenio un biancore gelido, una luce pallida si proietta sul cemento obliquo, suolo ove un corpo, abbandonato al
Polvere, la polvere rossa dell’Oklaoma, che come nube scurisce il cielo, che si disperde, che ammanta la terra. Trascorsa è
Due uomini immobili sulla scena; hanno grembiuli bianchi, canestri di limoni alla loro destra, ne tagliano uno, lo ingurgitano, avidamente;