“Lemon Therapy”, alla ricerca della adolescenza perduta

Arrivare a trent’anni circa ed essersi dimenticati della propria adolescenza.
Per qualcuno un sogno, per altri un incubo.
Per la compagnia Quinta Parete di Sassuolo è la base su cui si fonda Lemon Therapy, lo spettacolo portato in scena sabato 22 aprile nel contesto del festival “La meglio gioventù” di Bisuschio (VA).
Enrico Lombardi e Alice Melloni sono rispettivamente il paziente e il medico che cerca di fargli tornare la memoria della prima giovinezza, in un percorso di dieci giorni che è più di un viaggio indietro nel tempo.

Bisogna decostruire tutto ciò che porta l’età adulta, ritrovare la strafottenza, l’arroganza, l’impudicizia e in generale la vitalità tipica dell’adolescenza.
Non solo, bisogna anche riadattarsi ai cambiamenti del mondo, cercare di capire come vivano gli adolescenti di oggi. È qui che lo spettacolo si apre al pubblico, chiedendo agli spettatori, meglio ancora se ragazzini, consigli e suggerimenti.
Come si chiamano oggi tra di loro i pari? Come si descrivono?
L’interazione con la platea rende “Lemon Therapy” uno spettacolo che non può mai dirsi uguale a se stesso, sempre condizionato da chi vi assiste. In questo senso è grande la capacità dei due interpreti di adeguarsi a ciò che hanno davanti e rispondere di conseguenza, senza mai lasciare buchi o momenti di silenzio, tanto
che le scenette con gli spettatori possono sembrare addirittura preparate ex ante.

Andare a scavare nell’adolescenza significa affrontare uno dei punti più delicati di quel momento della vita, la scoperta di se stessi, del proprio corpo e della sessualità.
“Lemon Therapy” non ricerca la volgarità, lo spingersi oltre la decenza per dimostrarsi moderno, progressista, privo di tabù.
Non lo fa perché non ne ha bisogno, sapendo ricondurre ogni discorso al naturale svolgimento delle cose, al come funziona il crescere, come si diventa uomini e donne.

Al contrario però, man mano che i giorni di terapia passano, i comportamenti del protagonista regrediscono, lasciando la serietà dell’adulto per impadronirsi nuovamente della libertà degli adolescenti, dell’indolenza verso le regole e la sensazione di essere padroni del mondo o quantomeno del proprio destino.
In platea c’è chi è giovanissimo e ride perché non trova calzante la rappresentazione della propria generazione, mentre c’è chi l’adolescenza l’ha superata e si domanda come sarebbe scoprire di colpo di averla dimenticata del tutto.

Sul palco, attrezzato come fosse lo studio medico della dottoressa, tutto è giallo. Luminoso e forte attira l’attenzione e dà alla rappresentazione un tono quasi pop, perfettamente in linea con lo stile della recitazione.
In scena anche due piante di limoni. Danno il titolo allo spettacolo ma non ne son diretti protagonisti finché a una voce fuori campo non è assegnato il compito di spiegarlo, raccontando l’importanza che ha nella cresciuta di una pianta di limoni l’avere una compagna accanto.
Proprio come gli esseri umani, che difficilmente possono crescere da soli, senza avere accanto qualcuno, senza confrontarsi, senza relazionarsi.

“Lemon Therapy” è l’adolescenza da un altro punto di vista, la vita dei giovani con gli occhi del dopo, crescita e confronto, con ciò che si è e ciò che si è stati.
Il tutto con un finale capace di far emozionare chi invece il primo amore, la timidezza e l’ansia, li ricorda benissimo.
Perché è vero, non si può crescere senza gli altri.

Cinema & TV
Elena Salvati

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