In un momento storico in cui lottare per il teatro e interrogarsi su di esso appare fondamentale per tenerlo in vita, determinante è la voce di Alessandro Di Murro, direttore artistico del Teatro Basilica di Roma, che intervistato da Quarta Parete si fa veicolo d’espressione per una visione artistica tesa a creare un ponte fra tradizione e nuove sperimentazioni.
Una ricerca teatrale indirizzata alla contemporaneità operata entro lo spazio antico di una basilica mai finita: in che modo questi due tempi dialogano e coesistono nella visione artistica del Teatro Basilica?
Lo spazio del Teatro Basilica caratterizza in maniera “prepotente” tutto quello che accade nella nostra direzione artistica per la sua forte identità. Quello che fin dall’inizio io e Daniela Giovannetti ci siamo domandati è proprio ciò che desiderava lo spazio: se all’inizio ci è capitato di muoverci secondo diverse traiettorie, abbiamo poi cercato una linea comune che cercasse di assecondare la natura che il nostro teatro ci suggeriva. Così facendo abbiamo dato vita ad un ambiente dove si mescolavano le voci del passato – come Enrico IV con Roberto Herlitzka per la regia di Antonio Calenda– e una drammaturgia contemporanea che desse voce nuovi artisti. Il teatro ci ha dato queste indicazioni permettendoci di portare avanti quelli che sono i nostri obiettivi: ricreare un ponte fra il racconto dell’oggi e la tradizione del teatro, due contesti tra i quali talvolta ci sembra di percepire uno strappo.
Come la materia duttile da cui prende il nome, il Collettivo Creta indirizza la sua ricerca stilistica verso forme sempre nuove di teatro. Come nasce e come si articola la sua residenza presso il Teatro Basilica?
Da sempre io faccio parte del Gruppo della Creta: fin dal primo momento in cui siamo entrati nel teatro, abbiamo deciso di abitare il suo spazio non soltanto come direttori artistici ma anche portando al suo interno una forza più giovane. Il Collettivo, nato sei anni fa, si sta ampliando oggi sempre di più acquisendo una sua dignità e arrivando a rappresentare la forza motrice che sta dietro al Teatro Basilica: si tratta di tutti ragazzi, perlopiù under 35, tra cui vi sono attori, registi, musicisti, scenografi e costumisti. Tutti loro sono uniti da un’idea comune e da uno spazio messo in condivisione che consenta di fare teatro ma anche di organizzare la logistica, l’ospitalità degli artisti e tutte le altre mansioni. Il Gruppo e la direzione artistica creano un unicum: insieme si prendono le decisioni seguendo il presupposto di una ragione che diventa parola e che attraverso il dialogo conduce alle scelte finali. In questo momento storico siamo in ascolto delle necessità che ci troviamo davanti e il gruppo risulta ancora più rinforzato nella sua identità: il maestro Antonio Calenda in qualche modo ci protegge mostrando il suo coraggio e la sua volontà di aiutare e ci fornisce un percorso sulla base della sua esperienza e del suo vissuto. Cerchiamo nel nostro lavoro di non fermarci ad una forma predefinita ma di continuare a cambiare: non siamo un “liquido” ma un “solido” che si presta però a una continua evoluzione.
Quale la vostra reazione di fronte alla notizia di un’eventuale apertura dei teatri il 27 marzo?
Pur tenendo presente la grande difficoltà che deriva dalla gestione della situazione attuale, questa l’impossibilità della presunta apertura ha inevitabilmente lasciato un po’ di frustrazione. Dietro a queste chiusure vi è sicuramente la tragedia di molte famiglie di fronte alla quale è forse poco giusto concentrarsi solo sul proprio personale dolore. Di fronte all’impossibilità di lavorare per così tanto tempo, il fatto di riaprire solo per il tempo limitato e con continue interruzioni è stato per noi una sofferenza che si è andata ad aggiungere ad una grande difficoltà economica: in questo momento infatti non abbiamo finanziamenti né sostegni, continuiamo a basarci sulle nostre forze e su un lavoro portato avanti in maniera associativa secondo un progetto. Abbiamo ottenuto finanziamenti come compagnia ma non come teatro poiché non rientravamo in nessuna delle categorie previste. Comprendo la difficoltà delle istituzioni, chiedo loro solo la una serietà nei nostri confronti, quella di rivolgere alla nostra condizione di teatri e di artisti l’attenzione e il rispetto che merita, di non diffondere notizie poi di fatto irrealizzabili.
“Non avere pubblico non significa arrendersi”: così il vostro teatro ha risposto all’interruzione delle attività a partire dallo scorso ottobre. Come si è declinato il vostro lavoro in questo tempo di immobilità forzata?
Non abbiamo attivato attività di streaming: abbiamo fatto questa scelta con Daniela Giovannetti, con Antonio Calenda e con i ragazzi del Gruppo della Creta. Lo Spazio No’hma di Milano ci ha però dato sostegno nel progetto “Back to Beckett” con la regia di Marco Carniti e la meravigliosa Francesca Benedetti, che andrà in streaming il prossimo 21 febbraio. Inoltre abbiamo ragionato molto sulla programmazione futura che riserverà bellissime sorprese alla riapertura dello spazio: dato il lungo tempo di pausa siamo riusciti a costruire delle collaborazioni nuove, di lavorare con impegno a nuovi spettacoli. Si tratta di guardare al proprio operato riflettendo su ciò che si faceva prima e ascoltando lo spazio che si abita.
Un teatro necessario che si trova paradossalmente ad essere l’ultima ruota del carro della politica e del pensiero collettivo. Quali le modalità più adatte a mantenerlo in vita nella attuale condizione di impossibilità dello spettacolo dal vivo?
Credo sia fondamentale anche da parte di noi artisti, portare avanti con serietà il lavoro prestando più attenzione possibile a ciò che verrà fatto: solo in questo modo quando il pubblico avrà la possibilità di tornare in teatro, potrà trovare qualcosa che in questi mesi gli è mancato. Parlando di questo non mi riferisco solo al teatro ma anche al live music, di concerti, di performance, tutto ciò in cui la carne viva dello spettacolo è in grado di offrire senza la presenza di un media che gli faccia da filtro. Dovremmo impegnarci a dare il massimo di ciò che uno spazio teatrale può offrire, tirar fuori tutto ciò che un performer, un regista, un drammaturgo, pensano per la scena abbandonando la superficialità per la profondità. D’altra parte la realtà teatrale ha bisogno di uno spazio pubblicitario, sarebbe bello venisse offerto come sostegno da parte degli enti: siamo invisibili e quando riapriremo, avere una visibilità sarà la difficoltà più grande.
Di recente il vostro crowdfunding ha rappresentato un forte messaggio al vostro pubblico: qual è stato il suo riscontro di fronte a questa iniziativa?
E’ stato incredibile: siamo molto felici della risposta al crowdfunding e delle persone che ci sono state vicine. Ogni contributo è stato fondamentale, anche quello di un’artista che pur non potendo sostenerci in maniera economica ci ha spedito dalla Danimarca una scheda audio che stavamo cercando. Anche se questo da solo non ci ha permesso di sostenere il teatro, rappresenta comunque un atto di fiducia da parte di molte persone, del nostro bacino di pubblico ma anche di tutti coloro che hanno creduto in questo progetto. E’ necessario molto di più per sostenerci, un direttore di sala, un ufficio stampa, gli attori, il direttore artistico, sono le componenti di un grande entourage che da molti mesi non riesce a sostenersi. Abbiamo tenuto duro in questo tempo, abbiamo fatto tutto ciò che era nelle nostre possibilità per riuscire a sostenere il nostro lavoro in sicurezza.
Come nasce la vostra collaborazione con i ragazzi di Fucina Zero? In che modo vi hanno fornito il materiale per la creazione del vostro “museo virtuale”?
Non avendo possibilità in questi mesi di realizzare spettacoli, insieme al nostro social media Cristiano Demurtas, avevamo pensato di dare visibilità agli artisti che dovevano essere nella nostra stagione “Frammenti” da ottobre a dicembre. Era importante creare del materiale grafico che testimoniasse la loro non presenza nel Teatro Basilica: i ragazzi di Fucina Zero hanno risposto con un bel progetto sul loro spettacolo. Il nostro spazio ricerca l’inserimento di energie sempre nuove, intende dare spazio a nuove voci come Fucina Zero, ma anche altri artisti che noi stimiamo e con i quali vorremmo condividere questo spazio, uno spazio che non sia un luogo di proprietà ma di ospitalità nel quale oltre a presentare i nostri progetti si abbia la possibilità di dar voce a più nature diverse, alle voci di artisti differenti che possano trovare espressione trasversalmente e al di là del confronto generazionale.