Cerca

Mia Martini, voce di una sintomatologia emotiva

Dall’8 all’11 maggio debutta a Teatrosophia “Questi i miei pensieri”, recital tributo all’indimenticabile Mia Martini. L’intervista al regista e interprete, Mauro Toscanelli.

È impossibile non conoscere Mia Martini. Voce intensa, presenza indimenticabile, donna e artista capace di lasciare un’impronta profonda nel panorama musicale italiano, che ancora oggi risuona tra le pieghe del tempo. Una vita, la sua, segnata da momenti di tormento; ma soprattutto da una straordinaria forza espressiva espressiva. I suoi brani più noti – da Almeno tu nell’universo a Piccolo uomo parlano da soli: basta ascoltarti per percepire il peso emotivo, il coraggio e la fragilità di una figura che ha saputo rendere la musica un’estensione della propria anima. Eppure, accanto ai suoi successi più celebri, esiste un repertorio meno conosciuto, più intimo, che racconta un’altra Mimì: quella che si rivela nelle sfumature, nelle scelte artistiche più personali, nelle parole sussurrate più che nei grandi proclami.  è da questo desiderio di riscoperta che nasce Questi i miei pensieri, recital ideato e interpretato da Mauro Toscanelli, in scena al Teatrosophia. Un omaggio sentito,che mira a restituire al pubblico la complessità e l’autenticità di una donna libera e irripetibile. In attesa del debutto, abbiamo avuto il piacere di parlarne direttamente con lui.

Il tuo spettacolo, “Questi i miei pensieri”, che debutterà a breve sul palco del Teatrosophia è un omaggio alla figura complessa di Mia Martini, sia sotto il profilo artistico che privato. Le letture in scena, inoltre, sono tratte dal libro “Mi chiamo” di Aldo Nove. Qual è stato l’elemento che ti ha dato la spinta nel dar vita a questo omaggio recitativo?

Per iniziare, diciamo che Mia Martini è sempre stata presente nella mia vita privata fin da piccolo e ci sono cresciuto insieme nel momento in cui ho scoperto per la prima volta – rimanendo stregato – il suo primo disco “Piccolo uomo” (stiamo parlando del lontanissimo ‘72). Da quel momento in poi, ovviamente crescendo e avendo io anche una capacità critica di poter selezionare la musica, i testi… 

Mia Martini è rimasta comunque nel mio repertorio da ascoltare. Che cosa mi ha legato, tanto da dedicarle un tributo? Beh sicuramente, dal punto di vista professionale, questa capacità di incarnare – più di ogni altra interprete – ciò che interpretava; ciò che sentiva. Secondo me, Mia Martini non cantava semplicemente, come magari possono fare altri interpreti; ma materializzava le emozioni. Queste emozioni con lei; attraverso di lei, diventano materiale; le possiamo anche vedere; sentiamo un colpo al cuore e allo stomaco: e non è da tutti creare questo tipo di sintomatologia emotiva!

Magari altri cantanti possono avere una bellissima tecnica; possono colpirci per un virtuosismo. Lei, invece… Vedo, sento e percepisco nella collettività una condivisione di queste sensazioni. Quindi significa che qualcosa di particolare lo aveva! 

E così, nel 2005 – ormai erano dieci anni che esercitavo la professione d’attore – mi venne in mente di tributarle uno spettacolo. Ma all’epoca, per varie vicissitudini, rimase un sogno nel cassetto. Solo l’anno scorso – grazie al Direttore Artistico di Teatrosophia, Guido Lomoro – mi è stata data l’opportunità (in maniera del tutto casuale). Così, parlandone mi è venuta l’intuizione che forse fosse arrivato il momento di far vedere la luce; di mettere un riflettore su questo progetto, avendo anche la maturità artistica per poterlo raccontare. Era quindi arrivato, forse, il momento di donarlo al mondo. 

è innegabile, difatti, la tangibilità del valore artistico di Mia Martini. Un segno, il suo, che va al di là dello spazio-tempo della storia. 

Vero. Anche per le nuove generazioni, se parli di cantanti scomparsi negli anni ‘90 non li ricordano. Invece, forse anche grazie al ricordo continuativo che ne da la televisione e la radio, lei è comunque rimasta nella memoria e ho voluto, infatti, con questo mio lavoro proprio darlo alle nuove generazioni per un motivo: loro sicuramente conoscono i brani più famosi: “Almeno tu nell’universo”; “Gli uomini non cambiano”; “La nevicata del ‘56; “Cu’mme” con Murolo. Tutti brani, questi, della sua terza parte di carriera; quella della rinascita che l’ha accompagnata purtroppo fino al ‘95. 

Con questo spettacolo, proprio perché ho voluto svelare e rivelare gli aspetti che secondo me vanno conosciuti della sua vita, professionale e privata, ho voluto rispolverare nel suo repertorio musicale quei brani che, invece, non sono conosciuti ma hanno invece la stessa dignità e significatività dei brani più conosciuti. Ci sono dei brani nel suo repertorio, che conosco essendo un cultore fin da piccolo, che sono anche più belli di quelli che all’epoca erano usciti come 45 giri e che invece vanno portati all’attenzione del pubblico. E lo spirito con cui faccio questo spettacolo è proprio quello di far conoscere al pubblico in generale, ma alle nuove generazioni in particolare, queste piccole perle che sono rimaste nascoste per tanto tempo. Spero di accendere la curiosità nel pubblico una volta uscito dal teatro, di dire “eh però, fammi andare a sentire quella canzone lì” e nel caso questo succederà – e me lo auguro – sarò pieno di gioia. 

Alla luce di ciò, lo spettacolo porta il titolo proprio di uno dei suoi brani meno noti per l’appunto. Ed è proprio in questo repertorio, rimasto a lungo in sordina, che possiamo individuare la sua dimensione più intima sia come artista che come persona. 

Assolutamente. Riallacciandoci a quello che dicevamo prima: che lei rappresenta l’interprete che ha più somatizzato dal punto di vista artistico ciò che raccontava; i brani che lei selezionava, li selezionava con una minuzia, con una cura, uno per uno… Tutti i brani che noi ascoltiamo in un suo qualsiasi 33 giri sono stati selezionati da lei con una perizia quasi maniacale, perchè era molto esigente – soprattutto con se stessa e con i collaboratori dei quali era circondata – e quindi noi possiamo avere in quei brani delle testimonianze non solo della sua scelta meramente artistica, ma proprio perché anche dal punto di vista testuale doveva rappresentare qualcosa che le appartenesse. Abbiamo avuto e continuiamo ad avere cantanti che hanno una voce strepitosa (parlo di Mina, di Giuni Russo, Antonella Ruggiero…); però con Mia Martini c’è una sorta di sovrapposizione tra brano, testo (quindi anche musica) e persona che la canta. È come se fosse un tutt’uno; un corpus unico. Mentre gli altri li vediamo un po’ come degli intermediari tra gli autori e il pubblico; come se fossero un tramite. Magari un tramite prezioso, prestigioso; però il fatto di sentire quello che si dice e sentirlo fino all’ultima fibra del proprio corpo lo abbiamo soltanto con Mia Martini

Questi brani che io ho scelto tra gli angoli polverosi del suo repertorio, ancor di più rappresentano questo lato così peculiare che apparteneva a Mia Martini, perchè – se un 45 giri famoso come “Almeno tu nell’universo” o “Gli uomini non cambiano” potevano essere dettati da scelte che avevano condizionato comunque che fosse un 45 giri da mettere in evidenza, nella fattispecie Sanremo – io ho evitato questa scelta, anche se lei non ha mai fatto scelte di natura commerciale; però comunque se si sceglieva un brano trainante di un album è perchè avesse anche delle caratteristiche di natura commerciale. Io ho evitato proprio questo e ho voluto prendere quei brani che lei in maniera pura ha voluto inserire in quell’album perchè magari raccontava ancora di più se stessa.

Ecco, quella che era ed è una peculiarità di Mia Martini, è ciò che dovrebbe essere poi l’essenza di un vero artista, che non si misura soltanto con il talento ma anche con la capacità di abbattere le barriere tra vita e arte facendo di quest’ultima un prolungamento della propria esistenza. E questa fusione lei, purtroppo, l’ha vissuta al prezzo di enormi sacrifici. Alla luce di ciò, senza naturalmente anticipare troppo, questo tributo permette allo spettatore di avvicinarsi alla sua verità più profonda?

Allora, ritengo che quando un essere umano ha notizie rispetto ad un personaggio pubblico filtrate da un mezzo di comunicazione, che può essere un social media, la televisione, la radio; comunque su quella notizia, su quell’informazione, c’è sempre un filtro. Io ho voluto essere libero come libera era lei nelle sue scelte. Non a caso, ho intitolato questo incontro che ci sarà a Teatrosophia “Questi i miei pensieri”, un titolo che ho mutuato da una sua canzone scritta nel ‘75 da Maurizio Fabrizio perchè voglio che il pubblico veda scorrere davanti a sè questi miei pensieri, che sono i pensieri di Mia Martini, in maniera libera come dei cavalli che corrono liberamente in una prateria. Tant’è che questo recital l’ho voluto strutturare con una commistione ritmica e anche di flusso narrativo, che vede alternarsi momenti di parola in cui racconterò la biografia, sia artistica che privata; momenti di lettura in cui è Mimì in prima persona che mette sul tavolo e davanti al pubblico i suoi pensieri e poi i brani, scelti con quei parametri di cui abbiamo parlato prima. E quindi si vedrà scorrere davanti a sé senza filtri, senza censure, tutti i pensieri di Mimì espressi talvolta in forma biografica; talvolta in prima persona; talvolta con i suoi brani, che abbiamo detto prima erano i suoi stessi pensieri. 

Possiamo, dunque dire, che il pubblico qui non è più un mero spettatore, osservatore passivo; ma diventa un testimone a cui magari lasciare un lascito e far sì che questo possa diffondersi. Quanto della tua precedente formazione grotowskiana si riflette in questa scelta?

Sicuramente nella forma con cui dono al pubblico questa storia; nel senso che Grotowski mi ha insegnato che il teatro si può fare senza luci, senza scene e che l’importante è avere un attore e uno spettatore. Quindi, in tutti gli allestimenti che ho fatto; ma in particolar modo in questo perchè è un genere particolare (parliamo di un recital, che ha delle caratteristiche tutte sue), il teatro povero di Grotowski si vede perchè ci saranno in scena soltanto gli elementi puramente essenziali: gli artisti che in questo caso sono i musicisti, in primis, che sostengono la parte musicale – che è anche quella una parte narrativa e non solo la parola – e la voce che in questo caso si fa duplice: una voce che si esprime attraverso il canto e la narrazione pura. Ci sarà questo e questo, ovviamente attraverso qualche accorgimento illuminotecnico necessario ad evidenziare più che altro alcuni passaggi tra i flussi narrativi, saranno gli ingredienti che il pubblico troverà.

Il pubblico voglio che sia preso per mano uno per uno e portato in questa dimensione biografica della vita di Mimì, che ha avuto una vita veramente pienissima. Considera che io parto dal ‘61 quando aveva soli 14 anni e se ne andò alla volta di Milano con la madre per cercare una casa discografica che la scritturasse, fino al ‘95. Quindi, circa 34 anni di vita che vengono raccontati come un torrente che scorre e voglio che il pubblico venga preso per mano. Per questo non c’è bisogno di grandi scenografie di cartapesta o di illuminazioni da Broadway perché sarebbe del tutto fuori luogo. Sarà minimalista, come questo è il mio stile quando devo allestire un mio spettacolo, e dove si dà più che altro spazio all’oggetto da raccontare. In questo caso al soggetto da raccontare, Mimì. 

Mi metto a disposizione di lei con questo spettacolo e voglio che il pubblico la materializzi quasi, ne prenda conoscenza perché poi verranno citati e raccontati aspetti meno conosciuti. Per esempio, una cosa che a me premeva raccontare era il suo alto senso di libertà: lei ha fatto delle scelte nella sua vita di massima libertà, in anni in cui l’elemento femmibile tendeva ad essere ancora subordinato dal punto di vista professionale all’elemento maschile. Lei nel ‘75, per esempio, decise di rompere il contratto discografico con la Ricordi perché la obbligò a scegliere gli autori dei brani che avrebbe interpretato di lì in poi soltanto da una lista stabilita dalla casa discografica. Lei, che era un’artista vera e che aveva bisogno di esplorare territori musicali diversi, autori diversi, sensibilità diverse, non poteva accettare una limitazione del genere perché ne avrebbe risentito la sua natura di artista e la sua onestà nei confronti del pubblico. Un gesto che, naturalmente, le costò una penale talmente alta che rimase indebitata fino alla fine dei suoi giorni. E questo è un aspetto del carattere libero di Mimì che voglio mettere in evidenza. 

Per concludere. La figura di Mimì è stata una figura talmente dirompente che è stata spesso ostacolata. Lo spettatore, uscito di teatro, avrà con questo recital l’opportunità di ridare piena luce alla sua figura sia artistica che umana? 

Io fornisco degli elementi; li fornisco sulla base dei miei studi su un personaggio così complesso come quello di Mimì. Fornisco, come dire, degli indizi. Metto sul tavolino davanti allo spettatore quest’elemento; poi quest’altro elemento; poi i brani che sono anch’essi indizi perché, ripetiamolo, Mimì cantava brani che rispecchiassero la sua vita di quel momento, quindi non avrebbe mai potuto cantare un brano che avrebbe avuto magari una spinta commerciale di un certo tipo che lei non sentisse. Quindi, mettendo sul tavolino davanti allo spettatore aspetti della sua vita biografica; ultimi pensieri avuti poco prima di morire; undici brani nell’ultimo arco di venticinque anni di carriera, diciamo che lo spettatore ha una serie di parametri che può mettere insieme, cucire tra di loro e farsi un’idea sua. Quello che mi preme è che, uscendo di teatro e nei giorni successivi, lo spettatore abbia la curiosità e l’impellenza di saperne ancora di più e cominciare, magari proprio dai brani, ad approfondire con curiosità la vita di questa splendida artista. Ecco, questo sarebbe il mio più grande successo: accendere la curiosità in ogni singolo spettatore! 

Attraverso Questi i miei pensieri, Mauro Toscanelli non si limita a raccontare Mia Martini: la fa rivivere, la rende tangibile, ci guida nei suoi silenzi e nelle sue ribellioni, restituendole quella profondità che troppe volte è stata fraintesa o ignorata. Il pubblico, da semplice spettatore, diventa parte attiva di un viaggio emotivo che attraversa parole, musica e memoria.

Non è solo uno spettacolo: è un atto d’amore, un gesto di restituzione, un invito a guardare oltre l’etichetta, oltre il dolore, oltre la leggenda. E se anche solo uno spettatore uscirà dal teatro con il desiderio di riascoltare una canzone, di leggere un’intervista, di conoscere qualcosa in più di quella Mimì che troppo spesso è rimasta nell’ombra, allora vorrà dire che questa voce – ancora una volta – è riuscita a farsi sentire.

error: Content is protected !!