Semi in air: io sono confine. Un laboratorio intercontinentale al Campania Teatro Festival

Bisogna poter contemplare, ma essere anche in viaggio. Bisogna essere attenti, mobili, spregiudicati e ispirati. Bisogna liberarsi dell’oppressione e riconciliarsi con il mistero. Due sono le strade da percorrere, due sono le forze da far coesistere (Antonio Newiller). Sono parole come queste, ridondanti ed eteree, armoniche e sapienti, che sembra di sentire tra i vicoli di una città più che mai contemporanea. Quelle dei poeti anarchici, che popolano la città, ieri come oggi sono anime generose di tradizione, che tramandano il teatro dei padri. Nulla è perduto, neanche i morti, in queste storie nate tra il tufo e il fermento di Napoli, con gli scritti e le performance che diventano altro e raccontano la costruzione di una e tante vite artistiche.

E’ proprio tra i quartieri della Sanità, la prateria e il cortile di Capodimonte che sta volgendo al termine la ventiduesima edizione del Campania Teatro Festival. Un edizione variegata ed interessante, che dal 10 giugno al 22 luglio realizza 145 eventi, sotto il segno del legame con la natura e di una nuova mentalità eco-sostenibile. La direzione artistica è di Ruggero Cappuccio mentre il talento di Mimmo Paladino firma ancora una volta la creatività del festival dando pregio ai materiali promozionali. Protagonisti assoluti di questa edizione spettacoli nazionali e internazionali, concerti, proiezioni cinematografiche ed eventi speciali dedicati al rapporto tra performance e sport senza tralasciare di portare l’arte anche nei quartieri difficili.

Tra i progetti speciali di quest’anno si è svolto, dal 9 all’11 luglio, il percorso teatrale Semi in air: io sono confine.  L’evento, a cura di Loredana Putignani ( docente di drammaturgie intercontinentali presso l’Accademia di Brera)  è un lavoro che indaga sulle soglie tra culture e molteplici linguaggi creativi su piattaforma globale, per una resistenza culturale oltre le frontiere. Non un semplice laboratorio ma un percorso che si ribella al tempo troppo superficiale che sovrasta la vita quotidiana. Tre giorni di conoscenza, tre giorni dove la magia del teatro riunisce i suoi figli in un grembo salvifico, dove i confini del pregiudizio vengono lasciati alle porte. 10 ragazzi tra di loro sconosciuti, alla maniera del Decameron di Boccaccio, hanno scelto di condividere, sotto il segno dell’arte, i loro silenzi, le confessioni, le paure. Per farlo quale luogo migliore della Sala Assoli ( spazio off e centro di produzione teatrale sito in Vico Lungo Teatro Nuovo, quartiere Montecalvario).

Il lavoro svolto durante il percorso si prefigura come uno scavo negli elementi di performance puri da Beckett a Kantor, dai laboratori di Frontiera di Neiwiller e Leo de Bernardinis, a Eurasia di Joseph Beuys, dai tracciati di Hirayama al metodo di Ambramovic. “Il Teatro non deve essere un’azienda che offre merce, merce indotta, accettata acriticamente dal pubblico, merce vampira e stregata. Il Teatro deve essere libero ed è necessario un luogo mentale e fisico dove le vocazioni possano dispiegarsi e partecipare al mondo e alla vita. Il Teatro rivolto a tutti organizzerà seminari e laboratori destinati non soltanto agli attori e ai tecnici  ma a tutti i cittadini e cercherà, in questa fase storica culturalmente confusa e fuori dai cardini, di rilanciare i cosiddetti saperi formativi, mediante un rapporto molto stretto con le diverse Università che vorranno collaborare per restituire valore e senso all’immaginazione e all’estetica”.

Leo De Bernardinis rivendicava così il diritto all’esistenza di un lavoro a 360 gradi nell’attore, una preghiera salvifica che egli recita dentro e fuori di se nella ricerca spasmodica della propria essenza. Abbattere i confini, guardare in faccia le proprie paure, ritornare a quella dimensione contemplativa che sembra dimenticata dal mondo occidentale, alzare il velo del pregiudizio; ecco gli obiettivi delle intense giornate alla sala Assoli. Si è lavorato in particolare sulle Crocifissioni (dal lavoro di Marina Abramovic secondo cui, in teatro come nella vita, conviene diffidare da tutto ciò che è leggero e spensierato, da tutto ciò che si lascia andare e che implica indulgenza verso la strapotenza dell’esistente). I giovani attori hanno avuto così modo di affacciarsi su di un’esperienza artistica d’avanguardia, necessaria in questa tumultuosa contemporaneità.