Pierino e il Lupo e Pulcinella con Ascanio Celestini: la recensione

Il ritorno di Sergej Prokof’ev dall’URSS, il suo avvicinamento a un mondo dell’infanzia tanto fiabesco quanto mimesi delle dinamiche del reale: se nel suo Pierino e il lupo (1936) vi era forse il rimando a un artista coraggioso dinanzi  alle pressioni del potere, l’interrogativo si riapre con Un altro Pierino e il lupo di Ascanio Celestini in scena il 29 e 30 settembre all’Auditorium Parco della Musica di Roma, nell’ambito del Romaeuropa Festival 2020.

Bene, e quindi raccontiamo questa storia”: in un diretto dialogo con la tradizione delle origini, l’artista romano ne recupera i tratti, ne ri-racconta le atmosfere, divenendo voce narrante di una favola sinfonica dove gli strumenti stessi si fanno personaggi.

Immediatamente riconoscibili nelle musiche del PMCE – Parco della Musica Contemporanea Ensemble- e diretti dal versatile Tonino Battista, essi affidano i loro caratteri alla presenza di precisi leitmotiv, il cui ricorso nella composizione assume un ruolo descrittivo volto a raffigurarne azioni e movenze.

Se l’anatra è un oboe, il flauto è il cinguettio dell’uccellino, il clarinetto il miagolio del gatto che striscia sull’erba con zampe di velluto; la severità del nonno non può essere che un fagotto, i fucili sono timpani, gli ululati del lupo hanno il suono di tre corni.

Pur nell’articolarsi di ruoli comprimari alternati e dialoganti, protagonista assoluto del racconto, Pierino è descritto da tutti gli archi: è dalla sua fuga nella foresta che la vicenda riconosce il suo vero inizio dispiegandosi in una successione di avventure tanto protese al lieto fine, quanto vivacizzate dalle declinazioni ironiche e dal timbro altisonante del narratore.

Un’interruzione, il palco è vuoto nel breve tempo di silenzio. Abbandonati i loro strumenti, i musicisti si avviano ora a un nuovo inizio: la vicenda di Pulcinella di Igor Stravinskij, la storia di uno sciocco che chiameremo Giufà.

Prima narratore complementare, Celestini si riappropria nella seconda parte di un ruolo centrale che sembra incrementarne le qualità espressive: le interruzioni, le pause, il ricorso a un peculiare enjambement del parlato si susseguono nella fluidità a loro propria in una struttura fondata non più sulla copresenza ma sull’alternanza tra musica e voce.

Secchi di rame, pelli di maiale, zingari, pecore e osti furibondi: nel corso di una narrazione immaginifica che attinge all’onomatopea, al discorso diretto, alla mimica e al tono scanzonato, la successione di aneddoti trova nella componente musicale il giusto collante, restituendo l’autenticità di un racconto parimenti antico e attuale.

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