Il cinema Pre-Code. La denuncia di Hawks: «Scarface» è Al Capone

Al nome di Scarface, nel nostro immaginario cinefilo, s’accende immediatamente la luce su Al Pacino e su Brian De Palma che, con la sceneggiatura di Oliver Stone, realizzò una delle pellicole più acclamate del secondo Novecento (1983, per la precisione). Così molti di noi identificarono i connotati di uno dei più riusciti e temibili criminali cinematografici: di origini cubane, gestiva senza scrupoli il traffico di stupefacenti in una Miami diventata la piazza di riferimento per il cartello sudamericano della droga.

L’autentica storia di Scarface, però, nella realtà, ebbe poco a che fare con eroina e cocaina, piuttosto furono armi e alcolici gli strumenti su cui concentrare il proprio potere e aumentare gli introiti; le sue origini furono italianissime, e il palcoscenico dove seminò sangue e terrore non fu Miami ma Chicago. Lui si chiamava Al Capone, una celebrità ormai leggendaria, ahinoi esistita per davvero, che riuscì a mettere a soqquadro la città per oltre un decennio. Quei lontani anni Venti made in Usa, vissuti tra le ristrettezze del proibizionismo e l’euforia del primo dopoguerra, furono crivellati dai colpi mortali dei gangster, di bande rivali di mafiosi che fecero patire alla popolazione della metropoli dell’Illinois l’orrore di una guerra (affatto) civile.

Un problema simile a quello delle nostre mafie, ma assai più cruento e spietato: le frequenti sparatorie avvenivano tra le vie del centro. Tanti i cittadini (spesso anche bambini) rimasti vittime delle sventagliate del nuovo Thompson, la prima mitraglietta a mano capace di sparare a raffica. I quotidiani ogni giorno invocavano l’intervento del governo affinché questo genocidio si fermasse, soprattutto che ponesse fine con una legge al commercio delle armi che invece rappresentava (e tuttora rappresenta) un ghiotto introito per le casse statali.

Oltre ai giornali che tentavano di sensibilizzare il governo, anche una frangia hollywoodiana più intellettuale del genere musicale frequentato da Al Jolson, Fred Astaire e Dolores Del Rio, sollecitata dalle restrizioni che il Codice Hays già annunciava, e che a breve sarebbe entrato in vigore, cercò di far breccia nell’irresponsabilità delle autorità, le quali, senza una norma che controllasse il commercio delle armi, poco potevano fare per fermare la sanguinosa «gang war». Ci si rese conto che anche il cinema poteva raccontare con coraggio episodi di una realtà spesso censurata da una dilagante corruzione.

Tra le prime pellicole particolarmente apprezzate ci fu la storia di Scarface, ispirata alle attività criminali di Al Capone. Il film, voluto da Howard Hughes, trovò nell’altro Howard (Hawks) l’artefice perfetto per accusare il governo di negligenza nei confronti di quei banditi col mitra che minacciavano ogni giorno la tranquillità dei cittadini. Già nell’introduzione si legge un messaggio moraleggiante di condanna al malcostume imperante. Non mancano, inoltre, tra le innumerevoli sparatorie, alcune condanne: «Cosa aspettiamo per intervenire», si dice in una sequenza girata nella stanza di un alto funzionario più onesto degli altri. «Cosa volete fare per impedire questa carneficina?», ripete a vuoto costui, mentre Scarface organizza la sua ascesa al trono della criminalità organizzata a suon di spari.

Il personaggio «sfregiato» da una vistosa cicatrice sul volto è interpretato magistralmente da Paul Muni, all’epoca uno sconosciuto attore di teatro, che fece subito simpatia al grande pubblico per le sue movenze e atteggiamenti tipici degli immigrati italiani, riproposti con aria naif e canzonatoria. E nostrani sono anche riportati alcuni brevi dialoghi tra lui e l’anziana madre: «Statte zitta, mammà!». Così come fa parte della nostra atavica abitudine «l’appassionata appartenenza» dei membri della famiglia, per cui Antonio «Tony» Camonte (è il nome cinematografico dell’originale Alfonso «Al» Capone) esibisce una morbosa gelosia per la sorella Cesca, che potrebbe far pensare a uno scandaloso trasporto incestuoso.

Insomma, sembra che Hawks si sia ben studiato il decalogo Hays per infrangerlo il più possibile prima che il tempo della libertà scadesse e soffocasse con regole moraliste l’espressione di un’arte finalmente usata come denuncia anche negli Stati Uniti. Capolavoro del gangster-movie, questo film appare nelle sale nel 1932, esibendo un lungo piano sequenza iniziale che per l’epoca rappresentò una vera innovazione, e che anni dopo ispirò molte riprese di Orson Welles (vedi «L’infernale Quinlan»). Hawks utilizzò gli affascinanti giochi d’ombre che nel bianco e nero suscitano un effetto molto più evidente rispetto al colore. Non mancano momenti comici, grazie alle gag di Vince Barnett, il segretario di Tony incapace persino di leggere o di parlare al telefono in mezzo a una pioggia di proiettili che disturbano la comprensione del dialogo.

Interessante notare come, oltre alle sparatorie e all’illegalità, altre evidenti innovazioni sociali vennero colte dai due Howard che accesero i riflettori sull’emancipazione femminile: Cesca, la sorella di Scarface, alla ricerca della sua indipendenza, mentre Poppy, la femme fatale, scivola da un boss all’altro con seducente alterigia, senza sporcarsi troppo, semmai preferendo, per accendersi la sigaretta, il fiammifero di Tony all’accendino d’oro del vecchio ras ormai in declino. Scarface, infatti usurpa il trono di Lovo sottraendogli ogni bene: gli affari, i soldi, l’ufficio, la donna ed infine togliendogli anche la vita. Una curiosità: Lovo è interpretato da Osgood Perkins, grande attore di teatro dell’epoca e padre di un certo Anthony che divenne pupillo di Hitchcock. Nel cast oltre a Boris Karloff, ineguagliabile Frankenstein nel 1931, un cameo di Jean Harlow nemmeno citata tra i titoli di coda.

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Scarface un film di Howard Hawks, prodotto da Howard Hughes e Howard Hawks; con Paul Muni (Antonio “Tony” Camonte, detto Scarface), Ann Dvorak (Cesca, sua sorella), Osgood Perkins (Lovo), Karen Morley (Poppy), George Raft (Guino Rinaldo), Vince Barnett (il segretario), Henry Gordon (Guarino), Boris Karloff (Gaffney), Henry Armetta (il barbiere). Sceneggiatura di Ben Hecht e Howard Hughes. Regia di Howard Hawks e Richard Rosson. Per la rassegna «Hollywood proibita. Il cinema senza censure del Pre-Code» al Palazzo delle Esposizioni di Roma, sala Cinema

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