Eliza e Marcela, sposate nel 1901. E mai separate

Quando Eliza Loriga e Marcela Gràcia convolarono a nozze, l’8 giugno 1901, in terra basca, Jorge Louis Borges aveva meno di un anno. Eppure il racconto del matrimonio del secolo, scritto da Fabio Bussotti, sembra aver origine proprio dalla penna di Borges, il quale, nei primi anni Venti, soggiornò più volte in Spagna, collaborando, in giovanissima età, per alcune riviste letterarie. La storia è narrata dalle protagoniste che accettano di farsi intervistare da un giornalista, uno che «pare un cretino» arrivato da Buenos Aires, ma che in realtà, già a 20 anni, era uno degli uomini più colti del secolo. Borges è lì, di fronte a loro, forse in mezzo al pubblico; e grazie a lui, noi veniamo a sapere che per la prima volta nel millennio scorso furono celebrate nozze tra persone dello stesso sesso.

Al teatro Off/Off, fino al 30 aprile, con la regia di Matteo Tarasco, è di scena Spose, un racconto tratto da una storia vera. Due donne che osarono sfidare il mondo, sposandosi sotto falsa identità nell’anno primo del XX secolo a La Coruña, dove l’oscurantismo medievale ancora predominava su educazione e civiltà, molto più che in altre zone d’Europa. L’inganno fu scoperto. Eliza e Marcela furono costrette a fuggire in Portogallo. Lì si scoprì che Marcela fosse incinta. Furono arrestate e processate, ma mai nessun giudice, né alcun prelato ordinò di sciogliere il matrimonio. Il 29 agosto furono liberate e il caso per la Legge fu chiuso. Il giorno dell’Epifania nacque Maria Enrichetta, la prima bambina che ufficialmente ebbe due madri.

Al di là della probabile o improbabile «partecipazione» di Borges, il testo di Bussotti mette a fuoco alcuni piccoli particolari determinanti per la pace comune; dettagli, apparentemente effimeri, che le cronache odierne continuano purtroppo a ignorare, proponendoci quotidianamente soltanto i fatti più eclatanti, quelli più scomodi, che vengono usati esclusivamente per polemizzare e far rumore. Eliza e Marcela furono arrestate per aver commesso tre reati molto minori rispetto allo scandalo popolare (anzi sarebbe meglio dire popolaresco), che il loro matrimonio sollevò: falsa identità, blasfemia e travestimento. Accadde, però, che durante il loro arresto e durante il processo, si parlò di sentimenti più che di diritti o di doveri. Non a caso la prima battuta con cui comincia la loro unione è «in amore e in poesia nulla è proibito». Chi potrebbe mai contrastare una simile affermazione? E se di fronte a un tribunale, già pronto con la sentenza di condanna, vengono esposte esclusivamente ragioni sentimentali, a fronte di pretese burocratiche, di discussioni ufficiali, di spese di danari, chi mai oserebbe polemizzare sull’amore? È un reato amare? È un reato restare incinta? Giammai! Per questi motivi la popolazione di Oporto (dove si svolse il processo), radunatasi in piazza, senza troppi clamori ma anzi con un gesto simbolico, fece capire – vox populi – che le accuse mosse nei confronti di Eliza e di Marcela erano completamente prive di fondamento perché senza alcuno scopo di lucro, né di inganno nei confronti di qualcuno. Nessuno si sentì offeso da quell’amore, e che quindi il matrimonio rinsaldò la loro unione affettiva come ovvia conseguenza e non come privilegio esibizionistico.

Ma c’è una figlia, una figlia che ha due madri e non ha un padre, diranno oggi i noiosi schiamazzi delle voci moderne di coloro che hanno studiato la Giurisprudenza e che osservano il moralismo cattolico anche se atei. Non è propriamente vero: perché anche la fecondazione si svolse in maniera più che naturale, senza scomodare la scienza e nemmeno la legge, senza richieste in carta bollata, ma soltanto rispettando la religiosità dell’atto sessuale. L’unica che si sarebbe dovuta arrabbiare (e infatti si arrabbiò molto) fu Eliza, vittima di un tradimento da parte dell’amata: fu un uomo che passò una notte nel suo letto e poi sparì lasciandole in grembo il frutto del peccato più dolce che esista.

Riflettiamo. Quanti bambini nei secoli passati sono cresciuti senza un padre impegnato in guerra, o fuggito altrove, o morto per una malattia? All’epoca non ci si poteva scandalizzare per un bimbo allevato da due donne: era prassi stare con mamme, zie, nonne, balie. E chissà quante balie hanno amato le mamme e le zie e pure le nonne! Non era certamente questo lo scandalo. Lo scandalo siamo noi che abbiamo codificato e istituzionalizzato il clericalismo borghese della famiglia, una malattia che nel 1901 a Oporto ancora non si era manifestata.

E infatti, con una difesa coram populo, ben compatta, pronta a donare 77mila reales alle prigioniere, le quali con l’ammissione dell’inganno e con la sola richiesta di poter amare liberamente la persona desiderata, ogni accusa cadde come corpo morto cade. «Ho sbagliato – dice Eliza alla sua donna – non avrei dovuto inventarmi la storia dell’ermafrodita, ma avrei dovuto dire semplicemente che ho ingannato il prete perché ti amo». È la chiave di lettura di un testo che esalta la semplicità dell’amore, la sua naturale vocazione al bene e al giusto: non a caso si citano Catullo, Shakespeare e Baudelaire.

«Posso darti la mia solitudine, la mia oscurità, la fame del mio cuore», scrive Borges a proposito dell’amore: nemmeno lui, mente illuminata, ci parlò mai di diritti, di provette, di uteri in affitto, tutti argomenti che stridono con il mitologico senso amoroso e che spesso generano attriti incandescenti proprio per l’incapacità di voler capire e spiegare le ragioni del proprio cuore. Virtù che invece Eliza e Marcela hanno saputo affrontare con dolcezza e dignità, grazie alla splendida recitazione di Marianella Bargilli e di Silvia Siravo, impegnate a sostenere le parti di Eliza e di Marcela, ma anche del prete, del giudice e di tante altre riuscitissime caratterizzazioni.

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Spose. Le nozze del secolo di Fabio Bussotti, con Marianella Bargilli e Silvia Siravo. Regia di Matteo Tarasco. Al teatro Off/Off, fino al 30 aprile

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Elena Salvati

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