Una splendida Giada Prandi al Cometa Off con “Anna Cappelli”

Fino a sabato quattro Marzo Giada Prandi va in scena al Cometa Off con Anna Cappelli, il monologo scritto da Annibale Ruccello nel 1986.
La storia di Anna, giovanissima che da Orvieto si trasferisce a Latina negli anni ’60, città dove vive a pensione dalla scontrosa signora Tavernini mentre lavora come impiegata al comune.
Qui conosce Tonino Scarpa, ragioniere con cui comincia a uscire dopo un brevissimo corteggiamento.
Nel monologo Anna parla sempre col suo interlocutore – la Tavernini, Scarpa, una collega- e mai col pubblico, che è spettatore di una vita che passa davanti anche in assenza di altri personaggi.
Pochissimi gli oggetti di scena, principalmente abbigliamento che ci consente di capire in che situazione si trova Anna; il grembiule che usa in casa, il foulard che porta in ufficio, il cappottino con cui esce la sera.
Una struttura cubica completamente aperta è sul palco, lo spazio in cui si muove frenetica e bravissima Giada Prandi, che esalta con la sua interpretazione tutto l’animo della sua Anna Cappelli.
Perché Anna ha un carattere tutto suo, che man mano che si va avanti con l’interpretazione esce fuori sempre di più con le sue problematiche e le sue necessità di aiuto, totalmente ignorante nel contesto storico e sociale in cui vive.
Anna Cappelli è possessiva, ce lo dice subito quando mostra la rabbia verso i genitori che hanno dato alla sorella la sua camera.
Quella era la SUA stanza e lei ne è gelosa, ha bisogno senza sé e senza ma di possedere le cose che ha intorno.
O le persone.
Il ragionier Tonino Scarpa è la vittima della sua morbosa gelosia, in un crescendo di scelte che passano anche per il rompere le convenzioni sociali -la convivenza preferita al matrimonio- se è per Anna ciò che più la avvicina a realizzare il suo desiderio di possesso.
È un crescendo di follia quello in cui Anna scivola, e Giada Prandi lo porta avanti permettendoci, minuto dopo minuto, di sprofondare con lei nel delirio.
Fino ad aver paura, fino a voler quasi chiedere uno stop, una tregua, perché fa male vederla star male, terrorizza immaginare fino a che livello potrà spingersi Anna per seguire ciò che le dicono il cuore e la testa.
Un testo ambientato negli anni ’60, scritto negli anni ’80 ma che ancora oggi, a quasi quarant’anni dalla sua prima rappresentazione, ci mostra una realtà che esiste e che, forse, meriterebbe più attenzione, cura e tutela. Per chi la vive e per chi gli è intorno.