Il 10 agosto a Monte Muganà la prima nazionale dello spettacolo diretto da Cinzia Maccagnano.
Le origini del mondo, Pitone, Eco, Apollo e Dafne: sono solo alcuni dei miti che attraverserà Metamorfosi che chiude il Mythos Troina Festival, rassegna teatrale sul mito classico e contemporaneo organizzata a Troina da Luigi Tabita. Sul palco, diretta da Cinzia Maccagnano, c’è Pia Lanciotti, che ha sentito parlare per la prima volta del mito da un vecchio amore che le regalò Le nozze di Cadmo e Armonia di Calasso, che la colpì al punto da farle dire che la vita era altro.
«Questo spettacolo – dice l’attrice dall’altra parte della cornetta –, racconta tutto di noi. Gli dèi si possono leggere anche come una dimensione eterna di noi umani. Tutto quello che racconta il mito è quello che mai accade ma è sempre, come diceva Sallustio; è tutto ciò che è accaduto la prima volta, ma si riflette in noi continuamente. Dobbiamo essere bravi a indagare, a scavare, ma soprattutto ad ascoltare cosa ci risuona da un tempo che è oltre il tempo ma parla di noi».
E Pia Lanciotti ha teso bene l’orecchio, intraprendendo la strada teatrale. Quando ha capito che era quella giusta? «Non ho mai pensato se fosse giusta o sbagliata: era semplicemente un motore che mi portava avanti. Avevo 4 anni quando in tv avevo visto una commedia americana degli anni ‘50 e io dicevo che volevo far questo, a 14 anni mi sono messa a scrivere il rifacimento di “Improvvisamente l’estate scorsa” di Tennessee Williams per poi farlo a scuola, e poi ho fatto l’esame per il Piccolo e mi dissero che non era possibile che non avevo mai fatto teatro. Anche nei momenti più bui, di percezione di abbandono, ho sempre saputo che quella era la via».
Anche Metamorfosi è un viaggio, una lettura in cui la Lanciotti sarà accompagnata da un quartetto d’archi composto da Dario Militano e Antonio Ambra ai violini, Mattia Sapia alla viola e Giulio Nicolosi al violoncello, mentre il prologo sarà affidato a Gaia Bevilacqua e Ginevra Di Marco. «Mi piacerebbe affrontarlo in versi – continua l’interprete –, al momento è un prendersi per mano, è un sussurrare. Anche con Cinzia abbiamo pensato di poter aggiungere altri miti. Mi piacerebbe non solo leggere queste storie ma raccontarle».
Lei usa spesso la parola “capiente” riferendosi al teatro, in che modo Metamorfosi l’ha fatta sentire più capiente? «Ti confronti con un materiale o circostanze che non hai mai affrontato e queste ti costringono a reagire e quella reazione ti cambia; noi reagiamo e cambiamo continuamente. Sto rileggendo questi testi anche tentando di dare ancora una possibilità diversa di lettura, ma non leggendo come sarà a Troina, ma proprio io, mi chiedo in che modo i miti possono riflettersi nella nostra anima che cambia, attraverso le relazioni. Gli autori, come Ovidio per esempio, utilizzano un linguaggio e un immaginario molto più ampio del nostro, noi siamo diventati piccoli con i nostri riferimenti, loro vagavano, erravano; era proprio un modo diverso di vedere e percepire il mondo. Se c’è qualcosa che mi piacerebbe fare sarebbe tornare indietro nel tempo e provare ad abitare quello stato di coscienza, secondo me era molto più ampio del nostro. Ormai abbiamo delegato tutto alla tecnologia, anche la memoria, la scrittura. Anche l’udito era molto più vigile del nostro, noi ormai siamo sordi dentro e fuori».
A proposito di ascolto, elemento indispensabile per chi il teatro lo fa e per chi lo frequenta da spettatore, in diverse interviste ha detto che l’inizio con Strehler è stata un’esperienza unica, un teatro che non si fa più. Com’era e com’è il teatro, secondo lei? «Io ero ancora molto giovane, ma non so cosa darei per tornare a quel tempo con la condizione di adesso, per poter percepire quel mondo lì, relazionarmi a questo maestro con cui avevo già un rapporto molto diretto e immediato pure se ero piccola». Un teatro in cui si costruivano sfumature di buio, in cui la ricerca dei costumi doveva essere accurata. «Sicuramente c’era una cura nel dettaglio, ma anche più soldi. Più giorni per le prove, le scenografie. Esistono dei grandi maestri anche oggi, anche stranieri che cercano l’autenticità di relazione tra gli attori e non una riproduzione di suoni ben fatti. Ma adesso è tutto molto più mercato».
Ma per fare teatro, ci dice ancora Pia Lanciotti, c’è bisogno di poco; di anima, stupore, freschezza.
Siamo al telefono da 30 minuti circa, il tempo è volato. Ultime battute d’obbligo su Mare fuori, la serie tv di Rai Uno che racconta la vita di alcuni giovani detenuti nel penitenziario minorile di Napoli e le cui vicende stanno prendendo (ancora) forma sul set della quinta stagione. Pia ha in qualche modo timore di rimanere incastrata nel personaggio di Donna Wanda? «È un personaggio che amo molto, è il tipo di personaggio che adoro. Gli uomini non vanno verso ciò che meritano ma verso ciò che somiglia loro». E tutto sembra connettersi allo spettacolo del 10 agosto in scena al Mythos Teatro Festival.
Insieme a Mare Fuori, Pia Lanciotti tornerà in tv con Le libere donne di Magliano, serie tv tratta dal romanzo di Mario Tobino (Vallecchi, 1953) con la regia di Michele Soavi.
In copertina Pia Lanciotti in uno scatto di Peppe Tortora.