di Andrea Cavazzini – foto di Ludovica Della Colli
Ieri sera all’Orione Comedy Park, rassegna estiva messa in campo a tempo di record dalla direzione artistica del Teatro Orione in era post covid19, Giorgio Tirabassi ha omaggiato, accompagnato da un quartetto d’eccezione, quello degli “HOT CLUB ROMA”, la leggendaria figura di Django Reinhardt, musicista belga naturalizzato francese che tra gli anni 20 e gli anni 40 ha incantato l’Europa e gli Stati Uniti con una tecnica di esecuzione unica al mondo nel suonare la chitarra.
Una figura tra il leggendario e l’incosciente che ha ispirato anche il cinema a cominciare dal nostro Sergio Corbucci che lo omaggiò per primo dando il suo nome ad uno dei personaggi dei primi spaghetti western interpretato da Franco Nero (ripreso poi da Tarantino molti anni dopo). E poi Woody Allen con Accordi & Disaccordi, ma anche Lasse Hallstrom con Chocolat dove alcuni brani di Rehinardt venivano suonati da Johnny Depp fino a Etienne Comar con Django presentato alla Berlinale del 2017.
Nella splendida tensostruttura a forma di conchiglia gli Hot Club Roma accendono subito l’entusiasmo del pubblico, ben distribuito nell’ampio spazio all’aperto retrostante il Teatro Orione, con un’accoppiata di brani giocosi come Belleville e Swing 42, dove i virtuosismi dei maestri Gian Piero Lo Piccolo e Moreno Viglione al clarinetto e alla chitarra, ben supportati dall’altro chitarrista Gianfranco Marongio e dalla ritmica incalzante dettata dal contrabbasso di Renato Gattone fanno subito capire l’imprinting di questo concerto. Su questo splendido tappeto sonoro si fa strada la voce narrante di Giorgio Tirabassi bravo non solo nella veste di attore che conosciamo, ma anche alle prese con una chitarra e con le sonorità gitane.
Nato a Liberchies in Belgio di etnia sinti, Django con la sua unicità, ha rivoluzionato il modo di suonare la chitarra, dando vita ad un genere che attingendo dalle tradizioni zingare e fondendole con il jazz ha preso il nome di manouche.Uno zingaro ribelle, inaffidabile, attratto dalle donne ma anche marito e padre che amava suonare per il gusto di farlo senza rincorrere il facile arricchimento e il successo a tutti costi. Django non era mai andato a scuola era analfabeta ma aveva un grande dono: il talento.
E si torna alla musica con tre brani che esplodono di vitalità ad immagine e somiglianza del “Nostro“ soprattutto in I’ve Found A New Baby (esplosivo Moreno Viglione alla chitarra solista che “gareggia con Gian Piero Lo Piccolo al clarinetto),e a seguire “Douce Ambiance e I Can’t Give you anithing but Love un classico del jazz americano, dai tratti piu malinconici.
Django Iniziò a suonare a 12 anni prima il violino, poi il banjo e suonava per istinto, guidato dalla magia del suo talento e le dita correvano veloci sulle corde. Poi una sera rientrando da un concerto nella sua roulotte il destino ci mise lo zampino, quando una delle candele accese cadde sopra un mazzo di fiori finti con cui la moglie Florine (per tutti Bella) aveva adornato il loro rifugio errante. Fu un attimo, la roulotte prese fuoco e Django fu avvolto rapidamente dalle fiamme riuscendo a salvarsi per miracolo aiutato dal suocero. Ma una parte della mano sinistra rimase offesa per sempre. Perse due dita, l’anulare e il mignolo. Ma lui non si perse d’animo e continuò a suonare, esercitando le dita rimaste e spostando successivamente la sua attenzione sulla chitarra, perché le corde erano più morbide rispetto a quelle del banjo. E lì che nacque la leggenda di Django, capitalizzando l’abilita delle dita rimaste e per tutti diventò “Il fulmine a tre dita”. Poi grazie ai dischi scoprì la musica di Louis Amstrong e quell’intuizione di portare nel jazz il suono “zingaro”, anche grazie alla sua amicizia con il violinista Stefan Grappellì, con il quale costituì il leggendario Hot Club de France, unico quintetto formato solo da strumenti a corda alla conquista dell’Europa e soprattutto degli Stati Uniti, la patria del jazz.
Sembrava un gatto, quelle dita che correvano feline sulle corde della sua chitarra, forse l’unico vero amore della sua vita. Il suono, il ritmo, le intuizioni ma da dove venivano.? E qualunque donna sia chiaro, verrà sempre dopo la sua musica, l’unica in grado di farlo soffrire qualora dovesse privarsene, tale è il genio.
Per lui l’importante era suonare, dove meno che mai. E spesso non si portava la chitarra dietro, mettendo a dura prova l’organizzazione dei concerti che era costretta a trovarne una all’ultimo momento. E non si curava che magari con lui suonasse Duke Ellington Dizzie Gillespie o il grande Segovia. Tutti volevano suonare e registrare con lui, ma era sempre lo stesso: imprevedibile!
La narrazione di Tirabassi convince e avvince, le sue pause lasciano sempre qualcosa di non detto che solo la musica può colmare, quella di Django naturalmente e quindi avanti con Appel direct con un imperioso attacco di chitarra di Viglione accompagnato dalla ritmica di Marongio, il maestro Gattone a dettare i tempi e Piccolo al clarinetto a cesellare questa splendida canzone con la quale si fa difficoltà a mantenere un certo aplomb, tale il ritmo risulta contagioso. E poi a seguire “Swing 48” e “Django’s Tiger” che ci ricordano la grandezza di Django Rehinardt.
Fu imprevedibile anche la sua scelta di ritirarsi poco più che quarantenne dalle scene perché voleva tornare a pescare (l’altra sua grande passione) nel posto che amava di più Sémois-sur-Seine a poche decine di chilometri a sud di Parigi. Ostile ai medici non si preoccupò mai di condurre una vita regolare e il 16 maggio del 1953 a soli 43 anni un’emorragia cerebrale se lo portò via mentre pescava. Le spoglie di questo zingaro irrequieto, profeta indiscusso del gypsy jazz riposano per sempre su quella collina che domina Sémois sur Seine.
Il concerto si avvia verso la fine con gli ultimi tre pezzi in scaletta con Sweet Giorgia Brown, uno standard classico del jazz , la popolare I’ll see you in my dreams e China Boy E la platea ad invocare a gran voce gli immancabili bis subito accontentata con Minor Swing e Joseph, Joseph. Django rimarrà unico e universale e ci lascia un patrimonio di incisioni che continuano a stupire e affascinare non solo i musicisti ma tutti gli amanti del jazz.
Gli Hot Club Roma sono: Gianfranco Malorgio alla chitarra ritmica – Gian Piero Lo Piccolo al clarinetto, Moreno Viglione alla chitarra, Renato Gattone al contrabbasso. Giorgio Tirabassi alla chitarra. Prossimo appuntamento con Django il 9 agosto a Cerveteri.