Eva Robin’s bloccata in un cilindro

L’invettiva di Jo Clifford nei confronti di Dio raccontata da lui, lei e quelli di mezzo

Quando il pubblico è chiamato ad entrare in sala, sul palcoscenico ci sono sei cilindri trasparenti, alti circa un paio di metri e del diametro di 50 centimetri, forse 55. Ognuno contiene, sembra, un fantoccio umano. Quindi le luci della platea cedono a quelle di scena e scopriamo che effettivamente si tratta di sei persone chiuse e bloccate nei tubi. Se siano di genere maschile o femminile, si capisce subito che non ha alcuna importanza, anzi, meglio glissare: «Ogni parola detta potrebbe essere usata contro di te!», avvertono spesso nei film. Potrebbe essere un saggio consiglio da perseguire anche ora. Tra di loro si riconosce Eva Robin’s, la seconda a destra; ma è Patrizia Bernardi che apre la prima carrellata di brevi monologhi, raccontando una storia molto antica, che tutti conoscono, ma è appena rivisitata. Prende spunto dalla biblica Genesi, ma qui sono contemplati gli uomini, le donne e quelli che stanno in mezzo, di cui però Dio, pare si sia dimenticato o ne abbia voluto far perdere i certificati di nascita. La parola poi passa di voce in voce, e un altro argomento vien fuori dal cilindro, ma si ha l’impressione che i tubi tra di loro non siano ben collegati: non sempre c’è affinità tra i discorsi e all’improvviso veniamo a sapere che il maschio è cattivo e la donna sottomessa, il maschio è violento e la donna vittima.

Jo Clifford, autrice di Evǝ (con la seconda e capovolta), ci espone il suo pensiero su entrambe le tematiche, ma la banalità con cui tenta di approfondire gli argomenti sfiora l’imbarazzo. Il primo è un raccontino troppo elementare, e di gusto assai discutibile, incentrato sul disprezzo che la Clifford nutre per un Dio da lei eccessivamente umanizzato, il quale – secondo l’autrice – potrebbe nascondere abiti femminili nell’armadio. Mi sembra un concetto molto riduttivo, non si capisce a chi Dio debba nascondere le sue calze a rete e i suoi body. Dio è molto più avanti degli uomini. Sono loro – noi – che non riescono a liberarsi del paganesimo, e la Clifford ne è un esempio eclatante! Il secondo argomento è l’esatto contrario di quel concetto che molti oggi individuano col nome di patriarcato. Entrambe le esposizioni celano un’aria da invettiva già ampiamente discussa e ribadita. Insomma la Clifford non ci dice nulla di nuovo, nemmeno quando ce lo racconta in inglese (con la voce di Rose Freeman), anche perché i cilindri velano la visuale della traduzione simultanea proiettata sul fondale. A proposito, cos’hanno fatto di male i sei esecutori per essere prigionieri di siffatta pena?

Tuttavia a teatro è giusto e opportuno trovare sempre spunti riflessivi. Infatti mi chiedo: l’autrice e tutti coloro che hanno pensato di portare avanti un simile progetto, dalla traduzione fino all’allestimento, per poi richiamare il pubblico e proporgli sei vittime incapsulate e bloccate in altrettanti cilindri, che idea hanno degli spettatori che frequentano le platee nostrane? Evǝ è un testo che avrebbe potuto far colpo, forse, settant’anni fa. Da allora il pubblico teatrale si è evoluto adeguandosi ai tempi; molti ovviamente sono morti e il ricambio, purtroppo, è assai scarso, per cui la platea diventa un luogo per pochi… ma buoni!

Il teatro, almeno in Italia, è elitario, e questo bisogna tenerlo presente quando si pensa a uno spettacolo. La prima domanda che un regista si deve porre è: a chi sto fornendo queste informazioni? Le masse e i criminali non vanno a teatro, ma preferiscono lo stadio, la televisione o una birreria dove ubriacarsi; a loro andrebbe proposto il testo della Clifford, sempre che lo accettino con interesse e civiltà! Trovo inutile, se non addirittura offensivo, avvertire l’onorevole Fausto Bertinotti, ieri in prima fila con la consorte, signora Lella, che le donne vanno rispettate e che godono degli stessi diritti dell’uomo. Suvvia, proprio a lui!

____________________

Evǝ di Jo Clifford, con Eva Robin’s, Patrizia Bernardi, Rose Freeman, Anas Arqawi, Met Decay, Saverio Peschechera. Regia di Andrea Adriatico. Al Teatro Off/Off, fino al 10 dicembre