Il nuovo romanzo di Silvia Avallone scava nelle profondità dell’animo che cerca la redenzione.
Un incontro tra gli opposti: sta in queste poche parole la sintesi dell’ultimo romanzo della scrittrice Silvia Avallone, edito da Rizzoli. Un libro maturo, pieno di contenuto e di emozione, di immedesimazione. Una danza, una simbiosi speculare tra le opposizioni, i contrasti dei protagonisti. Emilia, una giovane donna di trentun anni, decide di stabilirsi a Sassaia, un piccolo paesino della provincia di Biella, nella casa lasciata dalla zia Iole. Ad abitare accanto a lei un maestro solitario, Bruno, con cui la protagonista intreccia una storia particolare, fatta di silenzi, omissioni, scoperte.
Entrambi portano un carico doloroso, fatto di solitudine, dolore e perdita: Bruno vede i genitori morire in un incidente in cabinovia, Emilia perde la madre per un tumore e conosce, letteralmente, il male, lo incontra dentro di sé, sprofonda nei suoi anfratti e lo compie.
Emilia e Bruno sono agli antipodi, eppure si riconoscono e si scoprono, piano piano. Lui vive chiuso nella perdita e nell’abitudine, fuggito via da una vita promettente, lontano dall’unica sorella rimasta, rifugiato e nascosto tra i monti e i boschi di Sassaia. La stessa cosa fa Emilia: trova in quel luogo sperduto e poco abitato, una culla dove poter ripartire e vivere quella vita spezzata quindici anni prima, finalmente libera ma non pronta ad affrontarne le conseguenze da fuori. Emilia, infatti, ha conosciuto la detenzione, il carcere e, dopo aver scontato la sua pena con il costante sostegno del padre Riccardo, ha finalmente l’opportunità di ricominciare proprio tra gli spazi puri e incontaminati di questo piccolo borgo.
Ricominciare, però, significa fare i conti: entrare in una realtà diversa, giudicante, che non sa e non capirà mai fino in fondo. Nonostante la pena, nonostante la condanna, il mondo fuori le presenta il suo prezzo da pagare. L’unica difesa, il solo modo di prevenire che Emilia conosce è la fuga, il silenzio sul suo passato, che si rivelerà gradualmente, a partire dalle sue stesse reazioni e dai suoi ricordi narrati.
Rabbia, chiusura, incapacità di dare nome e direzione alle emozioni, la curiosità e la spontaneità di una ragazza che non ha vissuto la sua adolescenza: Bruno conosce le sfumature più diverse di questa donna, fino all’ultima, la più dolorosa, inafferrabile e intraducibile.
Cuore nero, vincitore del premio “Elsa Morante 2024” e del premio letterario “Viareggio-Rèpaci” per la categoria Narrativa, è un romanzo tessuto con parole delicate, toccanti, rispettose; la trama è ben bilanciata e non lascia trasparire subito il passato di Emilia, permane quell’alone di mistero, frutto dei continui giochi tra passato e presente. Il tema centrale è, forse, tra i più difficili da trasformare in storia, raccontare in parole il male dentro, quell’ammasso di emozioni e stati d’animo inaccessibili anche per chi li prova in primis. L’autrice ha però saputo dosarne gli elementi, senza scendere nel pietismo o nella superficialità, testimoniando maturità stilistica e una sensibilità non scontata. Le sue parole fanno bene e male allo stesso tempo: spezzano e incidono, svelano e accompagnano. Sono anche frutto della sua esperienza presso i veri carceri minorili.
A colpire il lettore è quel “cuore nero”, che non trova spiegazioni e razionalità, che determina la vita della protagonista. Il senso e la presenza del male, la sua facilità e l’onnipresenza accanto alla cosiddetta normalità. Silvia Avallone ne dimostra la facilità, il contenuto, le sue radici, la portata distruttiva. E lo fa senza giudizi, condanne, frasi fatte. L’intreccio degli opposti è ciò che caratterizza la narrazione del lato nascosto, il buio vissuto: Emilia, dopo aver vissuto la condanna, cerca la redenzione, la ripartenza; Bruno, nonostante la salvezza dall’incidente, si condanna alla reclusione, alla distanza dalla vita.
Carnefice e vittima, ora, si trovano a scappare, ognuno inverte le proprie esperienze e si ritrova ai margini, con in mano le proprie macerie, bagagli di dolori e fragilità, agli angoli opposti delle proprie case, circondati dalla bellezza naturale e incontaminata. Sassaia diventa così un abbraccio unico, un luogo di raccoglimento e di verità, il ventre da cui rinascere, per poter rivedere la luce.
Sondare e conoscere quel cuore nero significa farci ritorno dopo la fuga, la condanna. L’espiazione passa per questo movimento, per un’ulteriore opposizione, un’altra inversione: ripercorrere i passi e provare a mettere in pratica quell’azione tremenda, difficile. Perdonare. Perdonare la rabbia, l’accumulo, ciò che si è stati e ciò è stato, il vuoto dentro, le colpe. L’abisso che inghiotte dopo aver passato una quantità enorme a scavarne le pareti con lo sguardo e poi con le mani. Perdonare se stessi per esserci caduti ed esserci rimasti dentro, trascinando con sé tutto il resto.
Punizione, perdono, salvezza, amore che sa e riconosce: in tanti ce lo hanno insegnato in letteratura, ce lo scrive e dimostra con questa storia profonda e intensa Silvia Avallone e la sua Emilia. Che è sempre possibile “costruirci una vita intorno” ai quei buchi neri, nonostante tutto, nonostante il passato, al di là del male in ognuno.
Immagine di copertina: eventi.mondadoristore.it