“Anna e altre storie” ovvero “10 frammenti di periferie”.

Il 15 e il 16 ottobre al Teatro Porta Portese è andata in scena la commedia “Anna e altre storie” scritta e diretta da Alessandro Fea. Ad interpretarla: Matteo Baldassarri, Silvia Nardelli, Giancarlo Testa, Monica Viale.

Lo spettacolo “Anna e altre storie”, già vincitore nel 2011 della rassegna di drammaturgia “DCQ” è una commedia che racconta molte storie. È un insieme di frammenti che, come un caleidoscopio, presenta al pubblico piccoli spaccati delle problematiche che possiamo incontrare in una grande metropoli. Questi “frammenti” sono dieci, tutti ambientati a Roma.

Le tematiche affrontate sono molteplici: omofobia, illegalità, povertà, disagio sociale e problemi famigliari.

Tra tutti questi temi quello mi ha colpito maggiormente, per come è stato affrontato, è stato quello della dinamica tra padre e figlio e del suicidio di quest’ultimo, evocato ma mai formalmente espresso. Questo particolare tatto, questo sottile velo, è stato creato con la consapevolezza, da parte del regista, di toccare una tematica delicatissima.

Così abbiamo visto al centro del palco un padre dialogare con “l’ombra di suo figlio”, in una specie di monologo accresciuto dal sapiente uso delle luci e dalla posizione degli attori. Le ambizioni del figlio e quelle del padre che si sono scontrate provocando il peggio.

Ma la crudezza di questi temi ha incontrato anche momenti per sorridere. Dalla macchietta della signora romagnola alla clochard e il suo orsacchiotto. Il tema dell’omosessualità è poi stato affrontato in molti suoi aspetti e sotto vari registri linguistici: nella coppia (etero) e nei giovani della periferia.

Tra un “frammento” e l’altro sono state scelte musiche e registrazioni di interviste che, a modo loro, introducevano alla tematica che ogni episodio avrebbe affrontato. Tra questi audio ho riconosciuto alcune celebri interviste fatte da Pasolini e la voce di Massimo Troisi che spiega la sua “donna ideale”. Anche le musiche proposte rispecchiano il gusto del regista.

Gli attori sono tutti degni di nota. Ognuno di loro è riuscito a raccontare i vari personaggi che gli sono stati affidati. Le caratterizzazioni sono state efficaci e mai caricaturali. La scenografia era essenziale, evocata solo da alcuni elementi di scena.

Il pubblico numeroso ha seguito con passione le varie storie. Le problematiche e le vicende sono d’altronde quelle di Roma e in particolar modo quelle delle periferie. Un malessere profondo che attanaglia chi vive ai margini della società. Questi margini sono tanto geografico-spaziali quanto sociali, e i luoghi delle vicende sono non solo le cornici di molte delle problematiche affrontate, ma anche direttamente le cause. La periferia è spesso una caotica landa desolata, non c’è una piazza, non c’è una vera comunità: per chi ci vive è solo un dormitorio, un posto dove “vivere” quando non si lavora. A soffrire maggiormente dei problemi che nascono da questa situazione sono sicuramente i più giovani, perché non potendosi muovere sono condannati a conoscere solo il loro quartiere.

Si può concludere che il margine e la periferia siano, in fin de conti, il filo conduttore di tutti i “frammenti” che componevano lo spettacolo. Dei bordi visibili e invisibili, esteriori e interiori ma in ogni caso tangibili nelle conseguenze.