Dal 24 al 29 novembre è in scena al Ridotto del Mercadante ()pera didascalica, testo fra i tre vincitori del premio Leo De Berardinis, scritto e diretto da Alessandro Paschitto, questi in scena con Raimonda Maraviglia e Francesco Roccasecca.
Forse questo articolo non potrebbe essere definito una recensione, come ()pera didascalica non può essere definito semplicemente uno spettacolo. Qui non c’è niente di cui parlare davvero, niente rispetto ai canoni della messa in scena e non semplicemente perché la scena è vuota o perché gli attori indossano abiti di tutti i giorni o ancora, perché non c’è una trama. Eppure siamo di fronte a una messa in scena che ti coinvolge e ti diverte senza per questo prometterti nulla, salvo porre domande giuste. Se poi tu spettatore rifletti su quanto hai visto è cosa buona ma se te ne vai dalla sala che ti sei semplicemente divertito va bene lo stesso, perché gli interpreti di questo spettacolo non hanno la presunzione di insegnare alcunché.
Raimonda Maraviglia, Alessandro Paschitto e Francesco Roccasecca intorno a questo spettacolo hanno messo in piedi una compagnia: Ctrl +Alt + Canc che già dal nome ha in sé una precisa dichiarazione d’intenti, Ctrl Alt Canc è il comando della tastiera del pc che di solito su usa con tre dita (non a caso, dato che i componenti della compagnia in questo momento sono tre) per chiudere un’applicazione del pc che si è bloccata o per riavviare il pc.
Tre tasti premuti simultaneamente, tre dita per compiere un’azione e proprio intorno al concetto di azione si muove la riflessione di ()pera didascalica. Perché intorno all’azione, teatrale in questo caso, deve esserci tanto pathos? Perché tutta questa aspettativa?
Uno spazio vuoto, appunto, disallestito, diventa luogo di riflessione intorno al concetto di azione.
Le luci di sala sono accese perché gli interpreti si rivolgono direttamente alla platea e non vi sono altri suoni al di fuori di quelli prodotti dagli attori stessi.
Maraviglia, Paschitto e Roccasecca con grande tecnica e capacità di improvvisazione mirata e reattiva rispetto a quanto accade in relazione con il pubblico mettono in scena qualcosa di attuale, il vuoto intorno a loro rappresenta il vuoto del nostro presente, riempito a forza da cose abbuffate di significato. Perché mai come in questo periodo storico abbiamo bisogno di mettere un’etichetta a ogni cosa e allora la domanda chiave della messa in scena è: Perché?
Mai come in questi anni dominati dal digitale siamo tutti portati a rappresentarci e rappresentare continuamente qualcosa, qualcosa che abbia un significato e che allo stesso tempo si distingua dal qualcosa degli altri. Il costante bisogno all’autorappresentazione ci conduce inevitabilmente alla noia esistenziale, a una bulimia di informazioni e all’incapacità di gestirle con la conseguente incapacità di vivere.
In questo caso lo spazio vuoto di ()pera didascalica rappresenta, forse, il vuoto della vita contemporanea, tanto pregna di cose quanto vuota nella sua essenza e priva di un significato.
Altre domande fondamentali che l’autore si pone sono ulteriormente esplicative di quanto detto:
Come possiamo rappresentare la vita se delle cose più semplici e quotidiane scopriamo di sapere nulla o quasi? Quale potrebbe essere l’azione di cui si dica: eccola è questa. Quali le parole?
Il risultato è comunque un fatto, un evento, perché l’essere umano rappresentato in questo caso dallo spettatore vedrà comunque qualcosa nello spazio vuoto e sarà diverso dal qualcosa che vede gli siede accanto. Perché gli uomini non possono non cercare un senso anche nel vuoto che risuona comunque come un’eco dentro di noi.
Il risultato è ()pera didascalica un lavoro di rappressentazione di “qualcosa” mai noioso, scritto da chi ha dimestichezza con la drammaturgia e interpretato da tre persone che sanno come si sta in scena anche senza far “nulla”.