di Giorgia Leuratti
Il patatrac è fatto! – questa l’espressione utilizzata da Viviana Toniolo – direttrice artistica del Teatro Vittoria di Roma- nella lettera aperta dello scorso ottobre. Patatrac come il teatro che apre e richiude nel giro di pochi giorni, Patatrac perché è un teatro di cui non spesso si parla al di là del suo ruolo fondamentale nella società e nella cultura, un teatro che dovrebbe tornare ad essere per il pubblico luogo di riferimento e spazio di riflessione.
Solo lo scorso ottobre si parlava, in una sua intervista su Quarta Parete rilasciata al nostro direttore, di riaprire insieme il sipario nella creazione di un cartellone in grado di coinvolgere in prima persona ognuno degli spettatori del Teatro Vittoria. Quali le conseguenze di fronte alla repentina interruzione delle attività in questi mesi?
La nostra volontà è quella di tornare a fare il nostro lavoro, di portare la gente a teatro. È vero, nessuno è colpevole di questa situazione se non questa malattia, ma è stato molto doloroso, una volta riaperti i teatri, dover chiudere dopo soli venticinque giorni, tanto doloroso quanto dannoso: non sarebbe stato giusto riaprire se non in una condizione di assoluta sicurezza, ciò ha creato solo un danno ulteriore, portando il pubblico a spaventarsi e a identificare erroneamente il teatro come luogo pericoloso. Il teatro fa parte della nostra cultura eppure non se ne parla, questo è grave. Girando in tournée per Londra, Parigi, ma anche in Germania e in Russia, ci si rende conto dell’amore e del rispetto per il teatro; in Italia non vi è consapevolezza e questo porta a delle conseguenze anche nell’economia: il teatro dal vivo porta lavoro non solo a tutte le famiglie che ci lavorano ma anche ai tecnici e tutti coloro che in qualche modo ne fanno parte. Inoltre questa situazione si ripercuote anche sul turismo delle città italiane che ospitano gli artisti nei loro alberghi e ristoranti durante la tournée. E non parlo solo di teatranti ma di tutti gli artisti che realizzano spettacoli dal vivo, teatro in prosa ma anche balletto, musica, concerto.
Romanità come cifra che attraversasse la prima ma anche la seconda stagione della vostra programmazione teatrale: come si manifestava e cosa significava all’interno degli spettacoli?
C’erano nel cartellone molti spettacoli belli, interessanti, intelligenti, dove – ora in romanesco, ora in italiano- si parlava di Roma o della romanità. Quest’estate in corso di programmazione pensavo: “Come fare a far tornar la gente? Abbiamo bisogno certo delle istituzioni, della stampa, però c’è bisogno che la gente prenda fiducia, ritorni!”. Mi è venuta dunque questa idea, quella di portare avanti una stagione che fosse un omaggio per i romani ai quali chiedevo in cambio una reale partecipazione. Porteremo avanti il programma della prima ma anche della seconda stagione, quando sarà possibile riaprire. C’è anche da considerare che parte del pubblico si è abbonato e ha ricevuto dei voucher: abbiamo il dovere di riproporre loro la stagione per la quale si erano impegnati.
È UNA GOCCIA NEL MARE? SÌ, MA TANTE GOCCE FANNO IL MARE! – questa la formula con cui veniva presentata la Settimana della Sostenibilità Ambientale: come nasce e come si articola questa iniziativa?
Nella nostra stagione dal 19 al 24 gennaio c’era una settimana dedicata alla sostenibilità ambientale che intendo riproporre non appena possibile. Già da tempo il nostro teatro era destinato a essere luogo di incontro per questo tipo di problematica in collaborazione con Mario Tozzi, i ragazzi di Greta, Plastic Free Onlus, e altre associazioni del settore che recuperano tutti i materiali di scarto in modo da evitare l’inquinamento. Mi piacerebbe nel futuro che il Teatro Vittoria diventasse un luogo dove ci si incontra una volta al mese per una giornata dedicata a dialogare su questi argomenti, argomenti di cui si parla da tempo ma per i quali non si fa mai niente. Sebbene fossi entusiasta fin da subito di questa idea, i miei collaboratori di fronte alla mia proposta erano rimasti in silenzio per poi rispondermi: “Non serve a niente”. È stato dalla mia risposta che è nata l’idea per il titolo: “Sarà pure una goccia nel mare ma tante gocce fanno il mare”. Quando parlo di questi argomenti con ragazzi molto giovani vedo in loro un incredibile entusiasmo, si tratta di un approccio giusto a parer mio: il mondo infatti è loro, il futuro è loro, questa terra è loro. Bisogna difenderla, proteggerla. Ognuno nel suo piccolo deve fare quel che può fare. Solo le grandi istituzioni forse potranno cambiare il mondo, però cominciamo anche noi a rendercene conto, a parlarne, a divenirne consapevoli.
Cosa pensa della modalità del teatro in streaming? Come si colloca questa formula obbligata rispetto all’unicità irripetibile dello spettacolo dal vivo?
Abbiamo, in questo particolare momento, la sola possibilità di fare gli spettacoli in streaming, ma è proprio un’altra storia. L’emozione che si prova nella sala di un teatro, di fronte a uno spettacolo dal vivo ben fatto e con attori bravi, non sarà mai riproducibile nel corso di uno spettacolo riprodotto in questa forma. Mi è capitato di guardare in dvd alcuni tra i nostri più bei spettacoli, ma non ho provato la stessa emozione che avevo durante la loro messa in scena. Tra gli spettacoli in streaming abbiamo fatto “I romani in Russia”, sempre per continuare a seguire il filo rosso della romanità, ora stiamo invece portando avanti uno spettacolo sulle donne del Risorgimento: penso che quasi nessuno sia a conoscenza delle loro azioni e del loro ruolo fondamentale: sono state delle eroine, hanno fatto delle cose fantastiche. Faremo in streaming anche questo, a partire dal 7 marzo, proprio in prossimità della festa delle donne.
Come vede l’eventualità di un azionariato popolare come forma di partecipazione che coinvolga in prima persona il pubblico di riferimento?
Proprio di recente il governo Draghi ha parlato dello spettacolo dal vivo: ne è emersa tra le altre cose la richiesta di una manifestazione che dovrebbe svolgersi il 22 davanti al Teatro Vittoria ma anche davanti a tutti i teatri d’Italia. Vi è in questa proposta una chiara necessità da parte del pubblico, si chiede di poter parlare finalmente di teatro. Il teatro è fatto da noi e dal pubblico: noi abbiamo i problemi della nostra vita di lavoro, ma il pubblico è fondamentale. Senza pubblico non c’è teatro, siamo due elementi indispensabili.