di Riccardo Bramante
E’ un incontro che sembra voluto dal destino quello tra due dei più noti personaggi che hanno attraversato la scena della storia e dell’arte europea del tardo ‘500. L’uno è Rodolfo d’Asburgo figlio dell’Imperatore Massimiliano II, frutto di una lunghissima catena di matrimoni tra parenti stretti e destinato lui stesso a divenire Imperatore del Sacro Romano Impero alla morte del padre; l’altro è Giuseppe Arcimboldo, pittore milanese, estroso ed immaginifico autore di spettacoli, balli e mascherate, nonchè “ingegnosissimus pictor fantasticus” della corte degli Asburgo di Austria dove era approdato nel 1562 su invito dello stesso Imperatore incuriosito dalle sue celebri “teste composte”, ritratti in cui erano utilizzati in un rutilante miscuglio frutti, verdure, ortaggi, libri e quant’altro fosse attinente alla attività del committente.
Hanno modo di approfondire la loro conoscenza in occasione del matrimonio di Carlo d’Asburgo, fratello minore di Massimiliano quando in una grande festa tenuta a Graz Arcimboldo organizza per gli sposi una festa mascherata in cui Rodolfo rappresenta l’estate con in testa un cimiero formato da un mazzo di spighe, Ernesto, l’altro figlio dell’Imperatore, è la primavera con la testa coronata di fiori, Massimiliano rappresenta l’inverno con sulla spalla un ramo di rovere secco e l’Arcivescovo di Salisburgo rappresenta l’autunno con un cappello pieno di mele, uva, noci e castagne. Tutte immagini che sono diventate poi quadri veri e propri, le “Quattro stagioni”, di cui purtroppo la Primavera e l’Autunno sono andati dispersi.
L’estro del pittore non viene dimenticato da Rodolfo neanche quando diviene Imperatore nel 1576, assumendo il nome di Rodolfo II, e tanto meno quando decide di trasferire la capitale del suo impero da Vienna a Praga portando, naturalmente, con se anche Arcimboldo che ne è divenuto nel frattempo una sorta di factotum.
E’ qui, nella magica Praga che le loro reciproche, bizzarre caratteristiche hanno modo di esplicarsi lontani dalla fastosa ma troppo formale corte di Vienna. Dall’alto del castello di Hradcany, da cui domina la città, Rodolfo chiama alla sua corte scultori, disegnatori, orafi, scienziati e studiosi tra cui Giordano Bruno, Tycho Brahe e Keplero ma a cui si mescolano inevitabilmente anche avventurieri e ciarlatani che gli promettono ogni sorta di oggetti di rara antichità, cammei e specchi appartenuti ai faraoni, dipinti dei più diversi artisti europei, speculando sulla sua ossessiva passione per il collezionismo di oggetti d’arte e di cose occulte.
“Chiunque lo voglia, se può, deve solo recarsi a Praga presso il più grande mecenate delle arti esistente al mondo, ovvero presso Rodolfo II. Presso la residenza imperiale…potrà vedere un numero notevole di opere singolari e preziose, curiose e inconsuete” scrive lo storico dell’arte Karel van Mander. Il tutto raccolto nella “Kunst- und Wunderkammer”, una “Camera delle meraviglie” che doveva somigliare ai mitici laboratori di Faust o del dottor Caligari.
E alla ricerca e raccolta di tutti questi oggetti strani e meravigliosi provenienti da ogni parte d’Europa ma specie dall’Italia, contribuisce attivamente Arcimboldo che non si accontenta, però, di fare il semplice organizzatore ma nello stesso tempo esercita la sua singolare forma di pittura prendendo a modello i personaggi che ha attorno: ecco, allora, il ritratto del cuoco di corte che, visto per un verso è un volto composto da ortaggi e pesci, mentre con il quadro rovesciato rappresenta un piatto di cibi ornati da limoni e gamberi; e poi l’ortolano che da un lato è un piatto ricolmo di verdure e rovesciato è una faccia dall’espressione laida; ecco il giurista rappresentato come un pollo spennato al quale è aggrappata una quaglia. Per giungere, infine, all’apice dello sberleffo dipingendo lo stesso Imperatore non più nelle vesti e pose classiche ma nelle sembianze di Vertumno, il dio romano della vegetazione e della metamorfosi; qui Rodolfo ha la fronte formata da un rugoso melone, le sopracciglia sono due spesse spighe di grano, le palpebre due baccelli di pisello e sotto due piccole pere scarlatte, il tutto sormontato, sul capo, da una sorta di aureola di spighe dorate, ricordo della corona imperiale. E’ un allucinante Rodolfo Vertumno sghignazzante e paonazzo, forse anche ubriaco, che sembra prendersi gioco del potere che esercita, potere di cui sarà privato alcuni anni dopo a causa della sua pazzia ormai non più controllabile. Sorte migliore avrà Arcimboldo che, tornato finalmente a Milano, morirà nel suo letto nel 1593.