Lo storico Teatro La Comunità celebra i 50 anni di apertura con un meticoloso “Bazin”

Correva l’anno 1972 quando a Trastevere, in via Gigi Zanazzo, un sottoscala adibito a deposito della carta della Zecca dello Stato fu trasformato in spazio di teatro. La pazza idea del regista Giancarlo Sepe si concretizzò nel Teatro La Comunità e in un palco profondo 20 metri che da subito e senza sosta ha ospitato una miriade di produzioni, incentrate su ricerca e sperimentazione.

Un avamposto di avanguardia, che, giunto ai 50 anni di attività, nei giorni a cavallo tra maggio e giugno è stato celebrato con lo spettacolo Bazin. Andrè Bazin fu tra le personalità più innamorate di quello che al principio del Novecento era il nuovissimo mondo del Cinema. Indossò le vesti di critico e teorico, sostenne la funzione di emancipazione che questa forma d’arte avrebbe potuto e dovuto fornire alle masse. Fondò i “Cahiers du cinema” e diede impulso a una nuova generazione di addetti ai lavori, in particolare a registi come Francois Truffaut, che non ebbe modo di veder affermarsi per colpa della leucemia che a soli 40 anni, nel 1958, interruppe i suoi progetti.

Giancarlo Sepe, oggi 76enne, ha scritto e diretto uno spettacolo meticoloso, curato nei minimi dettagli. A partire da un testo che rivive, con forza poetica, l’ultima notte in vita di Bazin. Sogno e visione controllata, di un uomo dal carattere ruvido e poco affabile, che certo non gli portò simpatie tra i coevi.
Sul palcoscenico i personaggi, impeccabili nei costumi di Lucia Mariani, sono sempre in movimento e schizzano come trottole a destra e sinistra, saltano e ballano avanti e indietro su un fondo spoglio, dove l’unico riferimento è una cornice con un telo bianco, su cui però non viene proiettata alcuna scena di film. I dialoghi si alternano al canto e alla musica, la lingua francese si divide con l’italiano.

Prodotto insieme al Teatro Diana di Napoli e al Teatro della Toscana, “Bazin” ha i connotati del teatro scavato nel profondo delle sue capacità espressive. Perfetto il sincronismo dei movimenti di scena, curati da Alessandro Ciccone. Predominio delle manifestazioni emotive, atmosfere parisienne, l’amore viscerale di un uomo per il cinema, lui, Bazin, che sviluppò i concetti di “realismo ontologico” e di “montaggio proibito”. Lui che si oppose con fermezza alla rappresentazione della morte e della “piccola morte”, ossia l’orgasmo. Lui che, appassionato documentarista, si tormentava intorno all’autenticità di un racconto mediato dalla cinepresa. E’ davvero reale quanto sta accadendo in scena? Questa domanda la pone e se la pone anche Sepe.

Encomiabili gli interpreti Giuseppe Arezzi, Marco Celli, Margherita Di Rauso, Davide Gallarello Balala, Claudia Gambino Christine, Francesca Paolucchi Lisette, Federica Stefanelli Séverine e Guido Targelli Robert, Pino Tufillaro. Menzione anche per le musiche di Davide Mastrogiovanni e Harmonia Team, le soffuse e intime luci sono opera infine di Roberto Bonfantini.