Il Padrino – Parte finale

Quegli uomini e donne tanto religiosi quanto mafiosi, oggi hanno avuto la certezza dell’esistenza di quella che Manzoni chiama Divina Provvidenza vestita di nero, bordato di rosso dei Carabinieri del ROS di Palermo.

Essa si muove tra le maglie del destino con furtività e agisce con l’ironia nera: è evidente infatti che ci sia qualcosa di mistico nella cattura, dopo 30 anni di latitanza, dell’ultimo boss di Cosa Nostra, Matteo Messina Denaro, specialmente se avvenuto l’indomani della ricorrenza trentennale dell’arresto di Salvatore Riina.

Un vero Trionfo della Divina Provvidenza, così come la dipinse Pietro Da Cortona, scortata alle spalle dalle virtù personificate di GiustiziaPietàPotenzaVerità.

L’immaginario comune vuole che l’ultimo tassello della triade mafiosa contemporanea Riina-Provenzano-Messina Denaro sia stato trovato. E come tutti, trovato sempre nel suo fedelissimo covo (perché trattasi non di città o di paesi, ma di non-luoghi) siciliano.

Questo attaccamento al territorio è la base su cui Mario Puzo (autore del libro e sceneggiatore) e Francis Ford Coppola costruiranno insieme il film che cambiò per sempre il modo di vedere il mondo della malavita.

Fino all’avvento de Il Padrino nel 1972, il gangster movie era un genere non in voga ad Hollywood e quindi abbandonato, con ottime probabilità a causa della scarsa attinenza con la realtà. Quello che fece Coppola fu proprio un cambio di paradigma verso un racconto più verosimile, a partire dalla scelta di attori con origini italiane.

Al Pacino e Robert De Niro vengono scelti perchè hanno i tratti somatici del migrante del sud, ma al contempo hanno adottato il modo di essere americano.

Nacque così per la prima volta nel cinema la figura del mafioso italoamericano, rinnovato drasticamente a partire dalla sua essenza criminale; non più un bandito psicopatico, bensì un abile manipolatore di eventi, più simile ad un imprenditore di successo che ad un pistolero.

La verità delle immagini fu tale che gli stessi mafiosi si rispecchiarono nell’epopea corleonese. Sammy Gravano, braccio destro di John Gotti, disse del film che “forse era una finzione, ma non per me. Era la nostra vita… E non solo i delinquenti, gli omicidi e tutte quelle cazzate, ma quel matrimonio all’inizio, la musica e il ballo, eravamo noi, gli italiani!”.

In Italia l’accoglienza fu chiaramente divisa tra chi considerava la pellicola un riconoscimento identitario da condannare, e chi ne vide l’aspetto positivo per l’attenzione rivolta al problema. Quel che non si potè contestare fu la portata del film, subito etichettato come capolavoro e campione d’incassi in tutto il mondo.

Per molti è considerato il miglior film della storia ed è sicuramente nell’Olimpo dei più rivoluzionari.

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