Conquistare la scena, per davvero. Non capita spesso, di questi tempi, a teatro. A Roma.
Al di là dei clichè e di certe convenzioni di superficie che – diciamolo – fanno solo buona società. Al Teatro Basilica, invece, dal 19 al 21 dicembre sono rimasti tutti fulminati dal monologo Affògo, primo episodio della “Trilogia dell’odio: Affògo, Rigetto, Cesso – la morte si conquista giocando”, scritta e diretta da Dino Lopardo e interpretata da Mario Russo. Performer espressivo, irriverente, istrionico.
Vive un disagio, Nicholas, per un trauma, tra i poli della vita intima (il bagno di casa) e dello stare in società (la piscina comunale). Vive in casa con degli zii sui generis e sin da bambino conserva un sogno nel cassetto: diventare campione di nuoto, nonostante abbia terrore dell’acqua. E’ vittima e al tempo stesso carnefice di atti violenti. La paperella giocattolo diverte ma nel contempo subisce le angherìe del giovane. Il dualismo si ripropone anche negli ambienti, separati da un enorme schermo semi-trasparente, a dividere infanzia da età adulta, vissuto dai ricordi, voce propria dalle comparse fuori campo. Scene e disegno luci, guidate sempre da Lopardo, costruiscono un’atmosfera realmente sospesa dalla realtà e proiettano ben oltre la terza dimensione la drammaturgia e la profondità del palco. Il Basilica diventa un’arena, una gabbia di matti. E solo negli ultimi passaggi il cerchio si chiude.
Solitudine, rapporti familiari tossici, società corrotta, bullismo. Si respira aria pesante, odio di fondo, e non solo per i cattivi odori che nel copione la fanno da padrone. Battute crude e scurrili, allusioni esplicite alla sfera più privata e sessuale del protagonista. E dei personaggi che incontra. Un tragicomico scorretto che però non infastidisce, anzi ha divertito e assai i tanti presenti in platea. Indovinata anche la scelta del registro linguistico, Russo recita con disinvoltura ed enfasi nella lingua della sua città natale, Crotone. Antico florido centro della Magna Grecia, oggi abbandonato alle dinamiche perdenti di un territorio che preferisce chiudere ciò che non funziona.
Le conseguenze, gli strascichi degli spaventi giovanili sono il vero tema del monologo. Gli atteggiamenti e i comportamenti sbagliati esistono, e se persistono sedimentano in disturbi della condotta, depressioni, sociopatìa. E ancora difficoltà nella regolazione e nel riconoscimento delle emozioni, sia per chi commette atti “persecutori” sia per chi li subisce. Soprattutto quando si commette un gesto irreparabile.
Citazione di merito anche per gli altri componenti del gruppo di lavoro, Amy Di Corso aiuto regia, Alfredo Tortorelli in assistenza e l’aiuto scenografia di Iole Franco.
Indovinata la proposta rivolta al pubblico di lasciare un commento, al termine dello spettacolo, sul pannello della stanza da bagno. Già imbrattato e così ancor più colorato e vissuto.
L’ appetito vien mangiando e la Capitale attende con grande curiosità la messa in scena dei prossimi episodi della trilogia.
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