Conversazione con Garth Ennis

L’autore di fumetti irlandese si racconta per la prima volta a Lucca Comics & Games.

Il terzo giorno di Lucca Comics & Games ha visto salire sui palchi disseminati per la città tre giganti del fumetto americano: Frank Miller, Garth Ennis e Jim Lee. Abbiamo scelto di raccontarvi l’incontro con l’autore Garth Ennis, per la prima volta a Lucca e al quale la presente edizione di LCG ha rivolto particolare attenzione con una mostra sul suo lavoro curata da Luca Bitonte e Alessandro Apreda, autori anche del documentario Garth Ennis – Till the Enda of his Words (2023), disponibile su Rai Play.

Garth Ennis

La mostra ha richiesto due anni di lavoro, il coinvolgimento di 16 artisti e un parco di 250 tavole da cui selezionare, portando all’allestimento di un piccolo quartiere fittizio composto da strade, pub e cinema che omaggiano il lavoro dello scrittore irlandese.

Noto soprattutto per quanto riguarda serie come Preacher e The Boys, ma anche molto prolifico nella scrittura di profonde storie di guerra, le sue creazioni sono sempre state caratterizzate da una certa dose di cinismo e violenza, frutto di uno sguardo disincantato sulla realtà, dovuto all’infanzia trascorsa in Irlanda, ai confini del conflitto nordirlandese. Ennis spiega di aver compreso in quegli anni che si trattava di una guerra di cui a nessuno importava abbastanza da cercare di porvi fine. Il conto delle vittime andava avanti quotidianamente in modo piuttosto stabile e risultava più facile gestire il conflitto che terminarlo, indipendentemente dalle vite che sarebbe costato. In questo clima di indifferenza afferma di aver imparato a non fidarsi del governo ma anche di persone con un’ideale. La rivoluzione, dice, è qualcosa di brutto, sanguinoso e da cui raramente i buoni escono vincitori. Ecco dunque che, scrivendo per un pubblico adulto, Garth decide di rappresentare il lato violento della natura umana in maniera onesta, accettando che viviamo in un mondo violento e riconoscendo che ne esistono diversi tipi, non solo quella fisica.

Sorprende un po’ anche lui stesso, dunque, che per le storie di Preacher, scritte per la DC Comics, avesse ricevuto completa libertà dalla casa editrice, normalmente avversa a tale tipo di contenuti. Il trucco ovviamente sta nel fatto che la serie venne pubblicata sotto l’imprint Vertigo Comics, che si discostava dalla produzione mainstream targata DC. Autori come lui, Neil Gaiman, Grant Morrison, spiega, impararono così lungo la strada quali erano i limiti di ciò che potevano raccontare, testando la tolleranza censoria della giovane etichetta.

Ennis spiega infatti di avere sorprendentemente pochi rimpianti riguardo alla sua carriera, considerando che proprio quando lavorava per DC, una casa che più di ogni altra avrebbe probabilmente avuto a che ridire sul tono e gli elementi delle sue storie, ha avuto la fortuna di pubblicare per Vertigo e quindi godere di una grande libertà. Ironicamente, le massime “manipolazioni” che ricorda di quell’epoca sono quelle che riguardavano le sue risposte alla posta dei lettori, rendendosi conto di come venissero tagliate e rimontate per ragioni di spazio.

Spiega poi come Preacher sia la serie, tra quelle da lui create, invecchiata peggio, a causa del carattere grottesco, i personaggi e la visione dell’America rappresentata. Garth sostiene si sia tramutata in un vero e proprio western, trattandosi ormai della rappresentazione del mito di un America che non esiste più da 10-15 anni, quella degli anni Novanta, un’epoca che considera significativamente diversa e molto più divertente.

E proprio negli anni Novanta prese avvio la collaborazione con l’artista Steve Dillon, che racconta essere nata da una discussione fino a tarda notte davanti a una bottiglia di whisky su cosa i fumetti potessero essere. Ciò che volevano nei loro fumetti era distaccarsi da quella rappresentazione dai toni fantasy che dominava quell’era. L’idea era di rappresentare la realtà con un twist.

La loro collaborazione si basava su un rapporto di istinto e fiducia. Garth si fidava profondamente di Dillon. Quando si incontravano, spiega, i due raramente parlavano di lavoro, poiché il processo creativo in collaborazione era talmente naturale da richiedere poche parole. C’era un’intesa quasi istintiva che permetteva ad ognuno di appoggiare il proprio lavoro su quello dell’altro senza bisogno di discuterne.

Si passa poi a parlare di uno dei personaggi per cui Ennis ha scritto importanti cicli di storie sul versante Marvel Comics, The Punisher, del quale rivela la sua visione. Per Ennis, Frank Castle è una personificazione della vendetta che ogni autore ha la libertà di rappresentare come vuole. Nel suo caso, l’uso che ne ha fatto è stato per rappresentare la lotta alla mafia italoamericana, ma anche a certi ambienti industriali americani e a Wall Street. Descrive Castle come l’incarnazione di una catastrofe naturale, quelle situazioni in cui la pressione aumenta sempre più e guardando all’orizzonte dalla finestra si ha la sensazione che stia per accadere qualcosa che cambierà il mondo.

È stato inevitabile finire a parlare degli adattamenti televisivi delle sue creazioni, visto il grande successo della serie The Boys prodotta da Amazon Prime. Ennis spiega che le opere che più desidera vedere adattate per lo schermo (grande o piccolo che sia) sono quelle a cui tiene maggiormente, ma per le quali conserva allo stesso tempo una maggiore apprensione (storie di guerra come Night Witches e Sara). Il timore è che queste ricevano il “trattamento Hollywood”, perdendo la loro essenza.

Garth Ennis

Comunque, per quanto riguarda gli adattamenti delle sue opere più note, Preacher e The Boys, rivela essere perfettamente felice col risultato finale. Il suo obiettivo, spiega, è che questi show continuino a durare nel tempo, non solo per una questione economica, ma anche per mantenere le sue storie attuali.

Anche perché, sostiene, dopo che autori come Alan Moore e Frank Miller hanno decostruito il supereroe negli anni Ottanta con storie come Watchmen e The Dark Knight Returns, e autori come lui e Gaiman hanno seguito nelle loro orme, oggi è difficile sperare che un tale processo avvenga di nuovo. Questo perché ormai i supereroi rappresentano ciò che il pubblico vuole che siano, sostiene, essendone di conseguenza innamorati. Una decostruzione risulterebbe difficile, ma soprattutto poco apprezzata.

Problemi, in definitiva, che non toccano il grande Garth Ennis, ormai proiettato ben oltre quel ramo che sembra limitare la capacità espressiva del medium fumettistico.

Cinema & TV
Elena Salvati

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