Barbara Stanwyck, infermiera detective

Per la prima volta, dopo 12 film visti alla Rassegna del Cinema Pre-Code, si lascia il Palazzo delle Esposizioni, con molte perplessità sulla proiezione. Night nurse (letteralmente, l’infermiera di notte, anche se Italia uscì col titolo L’angelo bianco), nonostante mostri una delle migliori interpretazioni della giovane Barbara Stanwyck, appare nel complesso molto slegato e disordinato: composto, infatti, da due storie separate che faticano ad equilibrarsi l’una con l’altra. Tratto dall’omonimo romanzo di Grace Perkins, la pellicola diretta da William A. Wellman mantiene la struttura di una pièce teatrale scritta in due atti ben distinti, sia per scena che per trama.

Ben Lyon e Barbara Stanwyck

La prima parte si svolge in ospedale, dove l’aspirante infermiera Lora Hart è in cerca di lavoro. Dopo una richiesta duramente respinta da Miss Dillon (Vera Lewis), riesce ad essere assunta per un caso fortuito, grazie all’intervento del dottor Bell (Charles Winninget). Durante il corso di apprendista conosce Maloney (Joan Blondell). Le due, mentre sorvegliano di notte l’ambulatorio del pronto soccorso, s’imbattono in un contrabbandiere di bevande alcoliche, Mortie (Ben Lyon), ferito da un proiettile alla spalla. Lora lo cura e lo protegge non denunciando l’accaduto alla polizia. La prima parte si conclude con la cerimonia del diploma d’infermiera sia per Lora che per Maloney.

Joan Blondell

Seconda parte. Lora viene ingaggiata dal dottor Ranger (Ralf Harolde) per controllare il precario stato di salute delle piccole Nanny e Desney, figlie della signora Ritchey (Charlotte Merriam), milionaria alcolizzata. Ma in quella casa c’è qualcosa di strano: una governante (Blanche Fridrici) prima eccessivamente severa, poi terrorizzata; Nick (Clarke Gable, giovane e senza baffetti), autista senz’auto, che si preoccupa più delle persone coscienziose che entrano nella stanza delle bambine anziché degli ubriachi che girano continuamente per casa. Col passare dei giorni, la salute di Nanny peggiora perché mal nutrita. Lora riporta le sue preoccupazioni al dottor Ranger che la minaccia, poi si becca un pugno al mento da parte dell’autista. La signora Ritchey, costantemente ubriaca, non si interessa delle figlie, nemmeno quando Lora le dice che Nanny sta morendo. Quindi, la governante (ubriaca anch’essa) rivela alla nurse l’esistenza di un fondo bancario a nome delle piccole. Da qui, Lora intuisce che Nick vorrebbe mettere le mani su quella fortuna e aspetta la lenta morte delle bambine per poi sposare la loro madre e impossessarsi dei soldi. Il caso però porterà Mortie, prima della catastrofe, in casa della Ritchey, con una valigia di liquori e con il lieto fine in tasca.

La piccola Marcia M. Jones, Clarke Gable e Barbara Stanwyck

Mentre la prima parte si potrebbe definire una commedia leggera, dove le situazioni comiche e brillanti si alternano alle immagini audaci delle due ragazze in déshabillé che addirittura, complice uno scheletro, s’infilano a letto insieme, la trama della seconda parte strizza l’occhio al genere noir con cadute nel grottesco. Molte le incongruenze e le esagerazioni. Lo testimoniano sia il comportamento losco del dottor Ranger, professionista insospettabile, sia il brutale atteggiamento dell’autista; ma anche le scene dei signori ubriachi sembrano essere riprese dalle comiche del muto di Charlie Chaplin o di Larry Semon; qui però i personaggi parlano e si sentono troppe assurdità. Inoltre, si vedono inizialmente due bambine, ma quando Nanny peggiora, Desney sparisce senza motivo e non si sa che fine abbia fatto. Ancora, quando Lora viene assunta in casa Ritchey, è sola, unica infermiera in sostituzione di una collega andata via, poi però riappare all’improvviso anche Maloney, senza una spiegazione. D’altro canto, quando potrebbe diventare un elemento scomodo, il perfido dottor Ranger si eclissa lasciando il posto al più simpatico dottor Bell. Comunque, più di ogni altra cosa, manca un fatto consistente che inchiodi l’autista alle sue colpe: l’atteggiamento lo rende sì colpevole, ma in effetti l’unico reato che commette è un pugno al mento di Lora, il resto delle accuse sono soltanto deduzioni della nurse.

Barbara Stanwyck di spalle e Joan Blondell

Il film si conclude proprio così, con il sorriso tornato sulle labbra della piccola Nanny, ma senza l’intervento della polizia. La figura del detective è affidata all’infermiera Lora, coadiuvata dall’amica Maloney e poi dal contrabbandiere di alcolici. L’assenza (affatto casuale) delle forze dell’ordine si nota: è una critica molto negativa che Hollywood lancia nei confronti delle autorità che non ci fanno una bella figura. Anzi, l’intero rapporto costruito tra Lora e Mortie conferma quanto cattiva fosse, in quel periodo, la reputazione della polizia. Wellman si sofferma infatti su particolari che invitano a riflettere sulla necessità di avere una complicità tra colleghi, o tra amici. Prima, in ospedale, tra Lora e Maloney, poi con l’elegante contrabbandiere.

La stessa complicità sodale che il set di «Night nurse» regalò a Barbara Stanwyck e al suo regista preferito Billy Wellman, amici per la vita.

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Night nurse (L’angelo bianco). Un film di William A. Wellman del 1931. Con Barbara Stanwyck (Lora Hart), Clark Gable (Nick), Joan Blondell (B. Maloney), Ben Lyon (Mortie), Blanche Friderici (Mrs. Maxwell), Edward Nugent (Eagan), Charlotte Merriam (Mrs. Ritchey), Betty May (l’infermiera), Charles Winninger (Dott. Bell). Sceneggiatura di Oliver Garrett e Charles Kenyon. Regia di William A. Wellman. Per la rassegna «Hollywood proibita. Il cinema senza censure del Pre-Code» al Palazzo delle Esposizioni, sala Cinema

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POSTILLA. Quest’ultimo è il tredicesimo articolo che Quarta Parete dedica alla Rassegna del Cinema Pre-Code che dal 30 marzo scorso si svolge al Palazzo delle Esposizioni, e certamente cercheremo di portare a termine il nostro impegno fino al 14 maggio. Tuttavia ci preme constatare con discreta amarezza e anche un pizzico di delusione, il completo disinteresse alla nostra iniziativa da parte degli organizzatori che mai hanno manifestato, nemmeno tramite l’ufficio stampa, un segno di gratitudine o di stima. In fondo stiamo lavorando ogni giorno per divulgare e per lasciare una testimonianza del loro lavoro e del loro impegno, che comunque apprezziamo.

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