AMORE E PSICHE: La recensione

Misurarsi con la narrazione a teatro è tutt’altro che cosa semplice: le insidie sono tante, perché l’esibizione è senza rete. Al netto del  supporto mimetico e dialogico, il rischio dell’abbiocco è immanente. Nondimeno è una strada che da qualche decennio si sperimenta sempre più frequentemente: una  primogenitura d’onore spetta a Dario Fo e poi ai suoi tanti epigoni, da Baiani a Paolini, a Moni Ovadia o ad Ascanio Celestini. Nei casi appena citati ognuno propone una cornice musicale, o la cifra del racconto/inchiesta, o l’impiego del linguaggio di strada, o la digressione comica, congegni espressivi insomma  che aiutano il solo sulla scena a far passare senza troppa sofferenza  la materia narrativa.

Sista Bramini, in questa straordinaria prova d’attrice in cui si narra del mito di Amore e Psiche, andata in scena nei giorni scorsi al Teatro Basilica, ha proposto in maniera tutta originale il mito descritto da Apuleio nel suo Asino d’oro: una splendida cornice naturale (le fondamenta del Teatro Basilica rappresentano da soleun sovrappiù scenico a vantaggio di qualunque allestimento, ma in questo caso giocano un ruolo addirittura centrale) e poi il gioco di “assenze” sul palco. Solo l’attrice, un perfetto e discreto dialogo con le luci, una leggera armonia musicale e di effetti naturalisticidi sostegno: la riuscita dell’allestimento sta tutta nell’assenza.

Lo spettatore si concede  nella renitenza di altri elementi di scorta- al racconto dell’attore, che sapientemente alterna la pura e semplice cifra diegetica a quella mimetica, declinata molto spesso in forma compostamente danzata.  E’ il racconto di una fiaba, tutto considerato, e la postura di attenzione che Sista Bramini si guadagna dalla platea è in tutto simile a quella che dispone i bambini all’ascolto di una favola nella penombra di una stanza, dove i personaggi che si succedono sono evocati tutti dall’abilità della voce narrante.

Il miracolo riesce facilmente a Sista Bramini, che giocando sul campo sguarnito da quelle assenze (niente distrazioni di scene o comprimarietà di oggetti)- riesce  a raccontarci tutta per intero l’epopea di Psiche, nel suo disperato rincorrere la sua anima gemella Eros, tra prove di lancinante faticaordinate per lei dall’invidiosa Afrodite, fino alla consacrazione tra gli immortali dell’Olimpo. Tanto la scena si riempie di personaggi evocati dal racconto della bravissima Sista, che viene la tentazione di recensirli uno per uno, quasi che Demetra o Persefone o Cerbero si fossero manifestati veramente in quel pregevole gioco di assenze che richiama l’attenzione.

Ma il pregio di questo allestimento sta non solo nella recitazione o nelle scelte drammaturgiche, ma proprio nella cifra linguistica utilizzata dal copione:  pochissime –e comunque sempre di ottimo livello- le concessioni a digressioni di allentamento di una sintassi letteraria sempre ricercata, proprio come si vede di rado nelle altre forme del teatro di narrazione più disponibili –per necessità o virtù- a concedersi al linguaggio di strada.

Questo allestimento è uno dei tanti frutti del lavoro di ricerca che da anni Sista Bramini con il suo progetto “O Thiasos TeatroNatura” compie con l’obiettivo di recuperare, per il tramite degli strumenti dell’arte drammatica, un rapporto tra coscienza ecologica ed espressività: un progetto  che si propone preferibilmente in spazi naturali, ovvero in luoghi non canonicamente “teatrali”, laddove il processo di interazione con il pubblico possa essere veicolato non solo dalla materia narrativa, ma anche  attraverso la mobilitazione di tutte le risorse sensoriali dei partecipanti.

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