Dogman: il randagio umano che insegna l’amore

Presentato in concorso alla 80° mostra del cinema di Venezia e dal 12 ottobre nelle sale, l’ultimo film di Luc Besson ci parla di sopravvivenza degli ultimi e amore incondizionato.

Douglas ama due cose nella vita: i cani e Shakespeare. I cani sono la sua vita, la sua famiglia; Shakespeare il suo lavoro. Dal drammaturgo Douglas ha ereditato la passione per il teatro e per essere precisi un lavoro da drag queen al venerdì sera nei night club. Un lavoro complesso per Douglas (qui interpretato da un potente Caleb Landry Jones) in sedia a rotelle; se a questa drag queen in mezza paralisi aggiungiamo un pizzico di vita da criminale resa possibile grazie ai suoi compagni a quattro zampe il gioco per un film accattivante è fatto.

Caleb Landry Jones in una scena del film

“Ovunque ci sia un infelice, Dio invia un cane” scriveva Alphonse de Lamartine, non a caso frase di apertura del lungometraggio di Besson. Perché è proprio di un’esistenza dannatamente infelice e purtroppo tratta da una storia vera che stiamo parlando, quella di un bambino ridotto in sedia a rotelle a causa dei pesanti maltrattamenti subiti sin dall’infanzia da parte di padre e fratello. Uomini crudeli che per vivere organizzavano combattimenti tra cani maltrattati a loro volta e lasciati rinchiusi in una gabbia. Il piccolo Douglas di quella violenza purtroppo subisce di tutto: le botte, l’abbandono della madre, fino ad essere rinchiuso nella stessa gabbia con gli animali per un “tempo che non ricorda”, ed è qui che sperimenterà l’unica forma di amore che abbia mai conosciuto in vita sua: l’amore incondizionato dei suoi cani, perché “un bambino prende l’affetto che trova” dice Douglas e “i cani non mentono mai quando si parla di amore”. 

Crescendo il protagonista non trova differenti conferme alla sua delusione nei confronti del genere umano, dopotutto gli uomini “sono avari ed opportunisti”, mentre i cani hanno solo un difetto: “quello di fidarsi degli umani” come afferma il protagonista. Un Douglas disilluso nei confronti della vita, un personaggio che ricorda il Léon di Besson del 1994, dove il sicario solitario interpretato da Jean Reno stenta e non vuole trovare alcun barlume di speranza per il genere umano. Come Léon anche Douglas è un protagonista solo, isolato ma per propria scelta, abile ma sventurato ai nostri occhi, un personaggio che cerca sicurezza circondandosi di cani, e che persino nel lavoro si nasconde trasformandosi in qualcun altro. Perché: “Trasvestirsi può essere molto piacevole, dimenticarti di te stesso solo per un momento (…), il mondo reale mi aveva respinto, il mondo dell’immaginario mi si apriva” ed è questo che Douglas sa fare meglio, nascondersi dagli altri, nascondersi da se stesso e da Dio, che a suo dire lo ha dimenticato, così come ha dimenticato tutti coloro che soffrono. La meticolosa sceneggiatura, curata dallo stesso regista, mette più volte in luce questo aspetto, Douglas si interroga e interroga più volte: “io credo in Dio ma Dio crede in me?”.

Il protagonista è tenero e protettivo con i suoi cani, allo stesso tempo diventa protettivo con i pochi esseri umani che lo meritano, ma si è ben lontani da definirlo un eroe; bensì un uomo moderno, che punta alla sola e mera sopravvivenza, un bambino frantumato cresciuto con l’amore dei suoi cani e per Shakespeare, amore che è espresso totalmente nella scena in cui Douglas legge Romeo e Giulietta con enfasi al suo branco di amici a quattro zampe. 

L’interpretazione di Caleb Landry Jones regge tutto il film ed è meritevole di Oscar, con la capacità di far emozionare pur non cadendo nel rischio, facile con questo personaggio, della macchietta. I costumi di Corinne Bruand vestono alla perfezione la drag queen sul suo scintillante palco così come la scenografia di Hugues Tissandier, presente nei rifugi angusti e allo stesso tempo raffinati del protagonista.

In questo lungometraggio di 114 minuti ripercorriamo le vicende di un’insolita drag queen con i suoi cani, una performer che compie crimini nei confronti di uomini avidi e malvagi con la leggerezza con cui interpreta La Foule di Edith Piaf sul palco dei night club. In un mondo spesso non equo e giusto, Dogman mostra un protagonista di una fragilità vera che inevitabilmente amiamo e ci pone un quesito fondamentale: da che parte sto? Quello della legge o del farsi la giustizia da soli?  

Caleb Landry Jones

Perché per punire questa gente c’è la legge è vero ma è anche vero che “le leggi le fanno i ricchi per controllare i poveri” come dice Douglas, un dialogo e contesto che ricorda quasi il passato Joker di Todd Phillips, film dove i principi di equità e distribuzione della ricchezza tra ricchi e poveri rappresenta un ideale utopico per il suo protagonista e ne prende il sopravvento. Come in Joker anche Douglas è un superstite, un randagio tanto come lo sono i suoi cani, un branco di dimenticati e superstiti della società e da Dio ma che insieme sono invincibili.

Un film che coinvolge, con il quale è impossibile non porsi domande e contraddizioni. Nella costante lotta di supremazia tra fede e libero arbitrio spicca l’unica certezza che abbiamo: l’amore, l’amore puro ed empatico quello che nulla pretende in cambio, che salva dal dolore, che al frantumato Douglas danno i suoi cani e che rappresenta l’unica forza trainante del protagonista. L’amore dato ad un uomo randagio dai suoi randagi, che emoziona e ci fa venir voglia di amare, oltre che di adottare un cane.

Dogman; Francia, 2023; film diretto e sceneggiato da Luc Besson; con Caleb Landry JonesJojo T. GibbsChristopher DenhamClemens SchickJohn Charles AguilarGrace PalmaAlexander Settineri e Lincoln Powell. Musica  Éric Serra; scenografia Hugues Tissandier; fotografia Colin Wandersman, costumi Corinne Bruand. Prodotto da Virginie Besson- Silla; casa di produzione LBP TF1 Films Production; distribuzione Lucky Red.

Foto copertina: Caleb Landry Jones

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