Jannacci: «Sono un diverso. Ma chi sono i diversi?»

Verdelli condensa la vita artistica del grande cantautore milanese in un documentario dolce e frizzante

Raccontare Enzo Jannacci in 97 minuti è impresa ardua. Eppure, Giorgio Verdelli, escludendo buona parte del panorama artistico e intellettuale del cantautore, è riuscito a raccogliere l’anima goliardica e geniale dell’estro del multiforme autore di Vengo anch’io. D’altronde un documentario non è una biografia: anzi, chi si cimenta nella narrazione della vita di un artista tanto poliedrico potrebbe scivolare facilmente sulla china della noia. Il lavoro di Verdelli, presentato fuori concorso all’80ª Mostra Internazionale d’arte cinematografica di Venezia, non corre questo rischio. Si vede con piacere, divertimento e commozione in un batter d’occhio.

Con ritmo serrato e con filmati di repertorio interessantissimi, l’attenzione dello spettatore viene immediatamente rapita dalla simpatia del protagonista, il quale, preso per mano dal figlio Paolo (musicista e suo collaboratore), sembra che venga accompagnato in visita ai suoi amici di ogni tempo: da Giorgio Gaber a Dario Fo, da Milva a Vasco Rossi, da Cochi e Renato a Claudio Bisio e tanti altri. I duetti, o (se preferite) gli sketch sono folgoranti, illuminanti, esilaranti: spesso non si capisce nulla di quel che dice Jannacci, ma dev’essere così, fa parte del personaggio. Lui stesso avverte: «Se capite quel che dico, sono fuori parte». Quale essa sia, però, è difficile stabilirlo: un cantante, un comico, un cantautore? Non a caso Dario Fo spiega che il personaggio Jannacci è uno e trino, ma senza alcuna allusione divina. Anche Diego Abatantuono batte sul numero tre: «Il suo modo di essere ricorda la Nouvelle vague, la commedia all’italiana e il neorealismo». Ed ecco, infatti, che spunta un filmato in cui Cesare Zavattini convince un giovanissimo Jannacci a far parte di un progetto cinematografico, proprio perché lui è così, ma anche l’opposto di così.

Enzo Jannacci col figlio Paolo

Di fatto Jannacci, milanese doc, è un «diverso», e pure se si diverte a stabilire chi sono i diversi, sicuramente era un irregolare, anticonformista per antonomasia, ma sempre accarezzato dal genio. Geniale nello scrivere canzoni (musiche e parole), geniale nella conduzione di uno sketch, geniale nella gestualità, geniale nel non dir nulla. A vedere, una dopo l’altra le immagini montate da Verdelli, si ha l’impressione di ritrovare le più pirotecniche gestualità di Totò o, come è stato detto, di Buster Keaton.

Ma quel che fa la differenza nell’arte di Enzo Jannacci è la musica (afferma Abatantuono): la sua capacità di sedersi al pianoforte e riuscire a far nascere un sorriso o a commuovere lo spettatore. Dori Ghezzi ricorda un duetto in prova tra lui e Mia Martini: «Fu un momento irripetibile. Cominciarono quasi per gioco e si trasformò in una magia che vedemmo soltanto in pochi.»

Enzo Jannacci e Giorgio Gaber: un capitolo a parte difficile da descrivere. Insieme sono stati gli antesignani dei Blues Brother, i primi a far della comicità una canzone (anzi mille) e viceversa. Ma Jannacci sapeva anche scrivere in musica la «letteratura dei barboni» (la definizione è di Roberto Vecchioni), cantava i silenzi dei reietti, i dolori degli emarginati. Era un poeta, o forse più.

Nel documentario di Verdelli, che è pieno di malinconiche dolcezze, si sente perfino il profumo delle nottate al Derby, la storica fucina di comicità ambrosiana, ma mancano le partecipazioni cinematografiche di Jannacci, manca il teatro (eccetto un accenno al beckettiano Godot con Gaber e Paolo Rossi), manca Franca Valeri, e manca tanto altro, ma soprattutto viene filtrato troppo superficialmente il suo impegno come medico, mestiere per il quale spesso dovette sacrificare tempo al cabaret e alla musica per concentrarsi negli studi e nell’esercizio. Laureato nel 1969, non tutti sanno che fece anche parte dell’équipe di Christiaan Barnard in Sudafrica (il primo chirurgo che effettuò un trapianto di cuore). Questo aspetto della vita di Jannacci forse andava approfondita un po’ più.

Amareggia, infine, che dopo la presentazione in Laguna, il frizzante filmato di Verdelli venga riproposto nelle sale della penisola per soli tre giorni. Enzo Jannacci, ancora oggi, merita molto di più. E tutti noi ora avremmo un gran bisogno di quelli che… il successo non esiste! Proprio come era Enzo Jannacci.

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Enzo Jannacci – Vengo anch’io, un film documentario di Giorgio Verdelli, con Paolo Jannacci, Paolo Conte, Roberto Vecchioni, Diego Abatantuono, Claudio Bisio, Paolo Rossi, Vasco Rossi, Cochi Ponzoni, Dori Ghezzi, Francesco Guccini, Nino Frassica, Dalia Gaberscik, Massimo Martelli, e i filmati d’archivio con Dario Fo, Giorgio Gaber, Cesare Zavattini. Regia, Giorgio Verdelli.

Foto di copertina: Enzo Jannacci in concerto