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Purezza di cuore e doveri regali

Al Teatro Nazionale Il re Pastore di Mozart ha raccontato un’altra espressione del potere

Il più delicato tra i volti del potere che il Teatro dell’Opera di Roma ha scelto di portare in scena in questa stagione. Si potrebbe definire così Aminta, il protagonista de Il re pastore, una delle opere meno rappresentate di Mozart, in scena al Teatro Nazionale fino al 23 maggio per la regia di Cecilia Ligorio e con l’Orchestra del Teatro dell’Opera di Roma diretta dal Maestro Manlio Benzi.
Si svolge in una Sidone del tempo di Alessandro Magno, ma che i curatissimi costumi di Vera Pietrantoni Giua rendono più vicina al XIX Secolo, la storia del pastore inconsapevolmente destinato al trono, figlio del re scacciato dal tiranno, così felice della sua esistenza che non brama e non sogna altro se non di realizzare il suo sogno d’amore con Elisa. 

Miriam Albano (Aminta) e Francesca Pia Vitale (Elisa)

La scenografia di Gregorio Zurla si apre sulla collinetta dove Aminta (Miriam Albano) ed Elisa (Francesca Pia Vitale, che alla prima rappresentazione ha portato in scena un’ottima protagonista nonostante l’indisposizione) si dichiarano amore circondati da una cornice dorata che fa apparire il loro incontro quasi un quadro. Un elemento scenico che sale e scende, come a dividere i momenti in cui si vuol incorniciare l’attimo e quelli che invece non son così eterei, perché pur sempre di una città che deve riprendersi dalla tirannide si sta parlando. La collina, che poi sarà anche cortile del palazzo, è rigogliosa, su di lei si innalza un albero che arriva fin ai limiti della scena. Il palazzo di Alessandro sarà invece sfarzoso, marmoreo. Elemento di congiunzione è una riproduzione in piccolo, racchiusa in una teca, dell’albero stesso. Negli ambienti regali la natura del luogo è rinchiusa, è simbolica, è un riferimento a quel che c’è al di fuori. 

Miriam Albano, in un ruolo originariamente scritto per un sopranista, dà al suo Aminta quella tenerezza che lo rende un puro, un ragazzo la cui mancanza di ambizione non è ignavia ma perfetta consapevolezza di sé. Quel che ha è quel che vorrebbe, a cui si aggiunge l’unica aspirazione, il futuro con l’amata.  A distoglierlo dalle sue poche pretese la venuta di Agenore (Krystian Adam), che per volontà esterna è il personaggio più vicino a un antagonista, benché vittima lui stesso delle macchinazioni di Alessandro (Juan Francisco Gatell) che potrebbero impedirgli di avere in sposa l’amata Tamiri (Benedetta Torre), figlia del tiranno morto suicida e destinata ad Aminta per renderla regina e placare la sua sete di vendetta. A questi cinque protagonisti si aggiungono solo i soldati, che spostano in giro per il palco casse, probabilmente d’armi e munizioni, per dare il senso della guerra in cui Sidone è ancora immersa; scacciato il tiranno e ancora non proclamato il nuovo re tutto è in stallo, una città sospesa che attende il suo destino. Non la vediamo, non ci sono piazze, strade, masse che fan da popolo. 

Se quando si parla di opera e potere vi son quasi sempre complotti e congiure, e quest’anno al Costanzi tra Simon Boccanegra e Lucrezia Borgia è stato chiaro dove si volesse andare, con Il re pastore si arriva ad una dimensione dove sono dovere e destino i grandi antagonisti. Aminta non ha scelto d’esser erede, anzi ne era del tutto ignaro, e Tamiri non ha scelto di nascer figlia del Tiranno. 
Eppure le loro genie li pongono al centro della sala reale, vestiti da sposi, pronti a farsi re e regina affinché il condottiero che ha liberato Sidone la ponga sotto una guida salda.
Ma non vi è in Alessandro, e il fraseggio accorato di Garrel lo rende bene, quel carattere dirigista pronto a tutto pur di arrivare al suo risultato. E d’altra parte la separazione delle coppie d’amanti non è scelta che pone la politica prima dell’amore ma equivoco a cui Alessandro saprà porre rimedio.
Il suo è un potere illuminato, comprensivo. Quello di Aminta è (sarà) un potere che non può prescindere dai sentimenti più profondi. 

Anche Agenore e Tamiri, così gli viene promesso, avranno un loro regno. Un potere altro ancora, quello di chi sa che gli spetterebbe ma comunque l’avrebbe vissuto in modo diverso se non fosse stato accanto all’amato. Scegliendo per questi suoi volti del potere ancheIl re pastore il Teatro dell’Opera di Roma ha portato sul palco un punto di vista differente, che dei potenti non raccontasse solo i magheggi, i sotterfugi, i complotti e le congiure. L’amore e il potere che devono andare insieme, o il potere può anche venir meno.

Miriam Albano (Aminta), Juan Francisco Gatell (Alessandro), Krystian Abam (Agenore)

La struggente tenerezza di Aminta, ancor più nei momenti con Elisa, casto amore in scena, s’adatta anche a una prima opera da mostrare ai giovanissimi, un invito alla lirica dedicato a chi è nell’età in cui l’amore si scopre e il potere – inarrivabile – fin troppo negativamente attrae.

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Il re pastore – Serenata in due atti, K208 – Musica Wolfgang Amadeus Mozart – Libretto di Pietro Metastasio – Direttore Manlio Benzi – Regia Cecilia Ligorio – Con: Juan Francisco Gatell (Re di Macedonia) – Miriam Albano (Aminta)- Francesca Pia Vitale (Elisa) – Benedetta Torre (Tamiri)  – Krystian Adam ( Agenore) –  Scene: Gregorio Zurla – Costumi: Vera Pierantoni Giua – Luci: Fabio Barettin Alessandro, – Orchestra del Teatro dell’Opera di Roma – Nuovo allestimento Teatro dell’Opera di Roma –  Dal 14 maggio al 23 maggio 2025

Photo di ©Fabrizio Sansone

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