Faccioni sui palazzi, bambine coi palloncini e finti squarci sui musei. È la street art sradicata dalla sua natura punk-anarchica e ricollocata in un compiacente sistema di commissione statale.
“Cosa succede quando un’arte nata per strada dalle frange più disagiate della gioventù urbana, con il suo linguaggio disarticolato, i suoi codici spontanei, la sua rabbia indisciplinata, perde ogni carica eversiva e diventa il megafono dello Stato, di qualche multinazionale o di un brand?”
questo è ciò che si chiede Vincenzo Profeta nel suo “B.R. Ammazzate Banksy” pubblicato lo scorso mese da GOG.
Il titolo è un omaggio allo street artist italiano per eccellenza – come direbbe Profeta – il Signor Enzo, che l’autore ha seguito per anni, al quale ha dedicato anche una pagina Facebook. Il Signor Enzo, morto lo scorso anno, coniugava tutto quello che un writer dovrebbe avere: follia, passione, spensieratezza, non-sense, ironia. L’ultimo baluardo di un’arte, quella dei graffiti, che si è burocratizzata a favore della banalità dei temi e della fama dei social.
Il primo a farne le spese, colui che dà il titolo a questo pamphlet, è Banksy, “il grande comunicatore che critica governi, religioni, armi, fame nel mondo e vi contrappone un’ecologia da sussidiario delle medie”. Eccolo il volto – anzi no perché non si sa chi sia, un’artista “fake” dice Profeta – della scontatezza, il caposaldo del vuoto cosmico, l’autore che se la prende con le multinazionali e diventa un brand, il pacifista che se la prende con la guerra, perché a noi tutti invece piace tantissimo. Profeta è abbastanza chiaro nell’esporre il suo pensiero: “Capitolo 3, Banksy fa schifo al cazzo”. “Tutti noi” – scrive l’autore – “prima di Banksy pensavamo che la guerra fosse giusta, che inquinare facesse bene, che la globalizzazione fosse una passeggiata di salute, insomma, che sveglia ci ha dato!”.
Nessun tono pacato, non è un saggio accademico, è un delirio sullo stato dell’arte, quella di strada, che di strada non lo è più. Non chiamatela così solo perché sta sui muri delle case. In quella vera c’era il brivido di essere preso a manganellate dalla polizia o di essere arrestato, di correre come matti, di disegnare una schifezza perché dovevi essere veloce. Non c’era spazio per l’occhiolino del sindaco, per le carte da firmare, per il sì della parrocchia. Come può la street art essere burocratica?
“I giudici siamo tutti noi, giudici di un movimento artistico che dovrebbe essere libero fin dalla nascita, senza vincoli e senza etichette, ma che si pone alla stregua dei gusti del signor sindaco e dell’associazionismo bigotto”.
“B.R Ammazzate Banksy” è un lucido grido di odio verso un’arte nata anti-sistema e finita nel sistema. È un odio a cui lo stesso autore dedica un capitolo di elogio. Un sentimento bistrattato: l’arte viene presentata per forza come bella e colorata, di caratura morale, sorridente e pedagogica. I faccioni dei personaggi più nobili e importanti, giganti, vispi, che sorvegliano la popolazione dall’alto della loro storia. Non c’è spazio per le nuove sperimentazioni, per l’attacco, la satira. Ce ne ha per tutti Profeta, JR, Blu, Jorit ecc.
È un discorso che si può tranquillamente ampliare. Mi viene in mente che sui muri ci sono, ormai, quelle rappresentazioni che vanno forte sui social, le vignette sceme e pseudo-profonde che ti fanno sentire speciale, perché tu sei diverso dagli altri e le puoi capire. Solo che a mettere like a quella vignetta sono centinaia di migliaia di persone, e tu non sei poi così diverso da loro.
“B.R. Ammazzate Banksy” è volutamente dissacrante, irriverente e sprezzante. Si può non essere d’accordo, ma, oltre che essere molto interessante, è veramente divertente. GOG si riconferma una casa editrice da tenere d’occhio, dopo aver parlato molto bene di “Bazar Mediterraneo” del giornalista Alberto Negri, questo è un altro titolo da “provare” assolutamente.