Argot Studio: 40 anni di arte, dialogo e sperimentazione

L’Argot Studio inaugura la stagione dei festeggiamenti per i suoi primi 40 anni di attività. L’intervista a Tiziano Panici.

L’Argot Studio, uno dei fiori all’occhiello della scena OFF romana, si prepara a festeggiare i suoi quarant’anni di attività. Nel corso del tempo, questo spazio è rimasto fedele alla sua natura, continuando a essere un laboratorio di sperimentazione, condivisione e dialogo artistico. I festeggiamenti inizieranno con una mostra curata da Tiziano Panici, alla guida dell’Argot insieme a Francesco Frangipane e Pierfrancesco Pisani, che permetterà di ripercorrere i quarant’anni di storia di questo luogo consacrato all’arte. Alla vigilia di questo importante traguardo, Tiziano Panici ci racconta l’Argot di ieri, oggi e domani in questa piacevole chiacchierata.

© Luca Guido

Ancora oggi, nella società e nel mondo della cultura, si avverte l’assenza di un radicale ricambio generazionale. Nel 2008, a soli ventitré anni, sei riuscito a dimostrare che anche i giovani possono raggiungere traguardi importanti, assumendo la Direzione Artistica del Teatro Argot Studio. Com’è stato, per te, affrontare questa sfida e farti strada in un contesto così competitivo?

Sicuramente non è una domanda facile a cui rispondere. Abbiamo quattro, cinque ore a disposizione…? A parte gli scherzi, cercando di sintetizzare e ricollegandomi alla ragione principale di questa nostra intervista – ossia quella di arrivare quest’anno a celebrare i 40 anni dell’Argot – questo è il terzo decennale di cui mi trovo, più o meno direttamente, ad occuparmi. Quindi, come dico anche nell’introduzione alla mostra e alla curatela della mostra di quest’anno, quando molti mi chiedono cosa significhi essere nato dentro un teatro, la mia risposta si trova tradotta in questa mostra dicendo che è un po’ una condanna a ricordare. Essere comunque portatori attivi di una memoria.

È un grande privilegio ed è anche una grande costrizione: io sono figlio d’arte e questo sicuramente è stato un grande vantaggio che molti giovani della mia età chiaramente non hanno; però essendo consapevole della responsabilità che questo comporta nel corso del tempo ha fatto generare moltissimi progetti dall’Argot, tra cui Dominio Pubblico che è un progetto destinato proprio alle nuove generazioni e a consentire alle nuove generazioni di diventare in qualche modo protagonisti di un cambiamento; protagonisti anche di quello che significhi gestire una direzione artistica; prendere delle decisioni; delle scelte e affermarle, per l’appunto, in un contesto pubblico; cittadino. Nel caso di Dominio Pubblico, facendolo chiaramente anche con un teatro nazionale; quindi con un investimento sicuramente importante.

Quindi, ho dedicato molte delle mie energie a cercare di dimostrare che non sono i giovani a non essere adeguati al loro tempo; ma è il contrario: purtroppo è la politica; sono le politiche culturali a non essere adeguati ai giovani. Questa è la realtà dell’Italia. E penso che l’Italia in questo stia ancora molto indietro e stia perdendo ancora una volta delle importanti scommesse, perché avere dei direttori artistici anche sotto i trent’anni, oggi in Italia, dovrebbe essere la norma. Invece, purtroppo non solo è ancora un’eccezione; ma un’eccezione che viene vista anche con cattivo occhio.

Alla luce, quindi, di come appare il panorama artistico-culturale in Italia, da Direttore Artistico che vive e tocca con mano questa realtà, quali consigli daresti per favorire l’evoluzione e il miglioramento dell’intero sistema?

Intanto mi preme dire, soprattutto parlando dell’Argot, che non sono l’unico direttore artistico. L’Argot, ormai dal 2008/2009 è un organismo plurale con una direzione artistica condivisa, nella fattispecie con Francesco Frangipane. Però negli ultimi anni è subentrato anche, come socio e come collaborazione anche alla direzione ai vertici, Pierfrancesco Pisani. Siamo di età diverse, ma siamo tutti e tre anagraficamente considerati abbastanza giovani per il panorama italiano e questo è un principio su cui io credo molto, la diversificazione e la pluralità delle direzioni.

L’orizzontalità dovrebbe essere una presa in carico anche delle grandi amministrazioni pubbliche, che purtroppo nonostante i consigli sembrano essere ancora un po’ sorde a questa possibilità e a questa dimensione. Ovviamente Argot è anche un caso particolare: si tratta di un’impresa privata e questo significa anche che le tre persone che la dirigono si sono assunte delle responsabilità economiche, organizzative nei confronti dei propri lavoratori.

Siamo felicissimi, perché oggi abbiamo una bellissima squadra che lavora insieme a noi, fatta tutta di giovani. E questa è un’altra parte importante dell’apporto che questa direzione plurale e differenziata ha dato all’Argot in questi ultimi decenni e questo, probabilmente, ci ha permesso di uscire indenni o forse, addirittura, rafforzati dal Covid che è stata una scommessa non facile e che per molti del settore teatrale e dello spettacolo dal vivo è stata invece uno spartiacque. Molte imprese di produzione; molte imprese in generale non sono riuscite poi a mantenersi; a restare attive dopo questo sconvolgimento.

Come menzionato precedentemente, nel 2013 hai dato vita a Dominio Pubblico, un progetto rivolto alle nuove generazioni. Se dovessi definirlo in poche parole, quale sarebbe la sua “value proposition” e quale la sua mission?

Te la riassumo; però penso che sia importante ricondurre in questa fase Dominio Pubblico ad Argot e ai suoi 40 anni, a cui non voglio sottrarre spazio. La missione di Dominio Pubblico è molto chiara; c’è un motto che è stampato a chiare lettere su tutti i nostri sistemi di comunicazione che dice “nessuno può godere esclusivamente di qualcosa che è di dominio pubblico, tutti devono prendere quel bene e farlo proprio”. Ecco, questo è un po’ il senso del progetto: crediamo molto a questa parola che riguarda sia gli spettatori intesi come pubblico, sia il pubblico inteso come spazio; luogo. Da questo punto di vista Dominio Pubblico è rimasto comunque legato al piccolo spazio Argot nel rinnovo generazionale degli spettatori e delle spettatrici e ha confermato e consolidato quest’impegno nell’ultimo anno con una rassegna nuova, “Green Days”, che è all’interno anche del programma di quest’anno ed è uno spazio riservato ad artisti e a talenti emergenti che hanno sempre bisogno di trovare spazio per portare avanti il loro lavoro; nonostante l’Argot, come anche un po’ un centro di produzioni, miri invece in questo momento sicuramente ad un target forse un po’ più adulto. Ma è anche normale rispetto alla storia che ha e rispetto anche ai nomi che coinvolge all’interno del proprio cartellone.

E qui, entrando nel merito e nello specifico della stagione: da Tommaso Ragno a Roberto Latini; da Scimone a Sframeli; ma anche autori più giovani come Silvio Peroni, regista con un cast d’eccezione che però conta dentro Lodo Guenzi, Matteo Gatta, Giovanni Ansaldo. Addirittura quest’anno abbiamo la firma di Luca Guadagnino sulle regie dell’Argot e la presenza di una grande artista donna che da sempre ci accompagna, Elena Arvigo. Abbiamo decisamente un parterre, sì, maturo, ma anche ormai forte nel quadro nazionale che permette comunque alle produzioni di Argot di avere anche ampio respiro e ampia vita sulla circuitazione nazionale. “Green Days” e “Over” nascono, invece, proprio come progetti per mantenere aperta la porta e la luce su quelli che sono orizzonti ancora nuovi, ancora da sperimentare per talenti emergenti sia molto giovani sia che hanno bisogno di spazio per avere residenze; scambi con reti; soggetti e mantenere vivo quell’accessibilità che è fondamentale per qualsiasi teatro; per mantenere la propria linfa vitale attiva.

Focalizziamoci sull’Argot, di cui – ricordiamo – sei Direttore Artistico insieme a Francesco Frangipane. Questo teatro è un punto di riferimento per la scena OFF e, in 40 anni di attività, è rimasto fedele alla sua identità di laboratorio sperimentale e luogo di condivisione. Il 18 ottobre inaugurerete i festeggiamenti per questo importante traguardo con una mostra da te curata, seguita da diverse proposte artistiche. Come è nata l’idea di raccontare la storia dell’Argot attraverso un percorso espositivo e qual è il fil rouge delle opere che esporrete?

In realtà la mostra inaugura il 17 ottobre, ma sarò un evento chiuso. Ci si può iscrivere e si può richiedere la possibilità di accedere, perché comunque l’intera mostra sarà a titolo gratuito fruibile ufficialmente dal 18 al 22 ottobre dalle 10:00 alle 19:00 presso lo spazio del WeGill. Il 17, invece, sarà una giornata un po’ inaugurale, dove presenteremo la stagione; presenteremo la mostra; ci sarà un rinfresco, musica e naturalmente un taglio della torta perché siamo, appunto, effettivamente molto contenti di arrivare a festeggiare questi 40 anni. Come ti dicevo all’inizio, questo non è il primo decennale che curo per Argot: c’è stata una mostra per i 30 anni che abbiamo fatto al Teatro Torlonia, per esempio, che era molto complessa; strutturata. Qui avevamo esigenza di lavorare con tempi molto veloci, però volevamo ribadire quello che hai appena detto, cioè che l’Argot è uno spazio di identità multiple; è uno spazio multidisciplinare che è legato tantissimo – oltre che al teatro – alla fotografia, alle arti visive, al cinema e alla sperimentazione in generale.

Proprio per questo mi piace sempre flirtare con il mondo dell’arte contemporanea e quindi ho chiamato uno street artist, Leonardo Crudi, che in questo momento, secondo me, è una delle firme più autorevoli che ci sono a Roma. È uno street artist autodidatta che da anni tappezza i muri di Trastevere, Testaccio, del centro; ma poi di tutta Roma con i suoi manifesti; manifesti che sono poi quasi dei manifesti politici. Il suo gruppo di riferimento è Collettivo 900 e prende ispirazione dalle grandi avanguardie del secolo nono e dalle propagande, in particolare dalla propaganda russa. Da lì, in realtà, il suo sconfinamento porta sui muri della città grandi titoli e film del cinema iconico classico italiano fino a scoprire poeti e poetesse dell’era delle grandi avanguardie degli anni ‘70 e delle cantine. Che è proprio lì, quando finisce la storia delle cantine romane, che inizia la storia dell’Argot.

Ho visto negli ultimi anni ritrarre Victor Cavallo, Mambor; piuttosto che Remo Remotti. Tutti grandi protagonisti – ormai sconosciuti, un po’ cancellati dagli sguardi delle nuove generazioni – che lui, invece, continua in qualche modo a fermare nella sua arte e sui suoi muri. Da lì, mi è venuta l’idea di proporgli di raccontare la storia dell’Argot attraverso dieci locandine iconiche che attraversassero tutto questo tempo a partire dalla prima del 1984 quando l’ex cantina Il Cielo, cambiava nome e veniva trasformato in Argot da un giovanissimo Maurizio Panici, perché appunto è stato mio padre l’iniziatore di tutto questo percorso; ma anche lui a suo modo e ai suoi tempi è stato un precursore e ha fatto una grande scommessa. Era molto giovane; ha preso coraggio; ha completamente rinnovato il concetto di quello spazio e ha iniziato a lavorare con una serie di personaggi, al tempo giovanissimi, e che sono poi diventate delle figure fondamentali nella cultura nazionale, come il fotografo Marco Delogu con cui ha firmato il primo statuto dell’Argot Studio, che nasceva già come spazio multifunzionale per la fotografia e poi successivamente per il cinema.

La scrittura di scena e la drammaturgia di Argot diventano, poi, nel corso del tempo grandi film. E questo è il secondo grande filone che abbiamo inserito nella stagione di quest’anno che inaugurerà proprio la stagione dal 21 ottobre nella sala dell’Argot Studio con 5 giornate di rassegna cinematografica dedicata ai grandi titoli che da spettacolo teatrale sono diventate pellicole iconiche degli anni ‘90 e hanno affermato una nuova generazione anche nel cinema italiano: Valerio Mastrandrea, Marco Giallini, Angelo Longoni, Umberto Marino, Angelo Orlando, Ruggiero Cappuccio, fino a Francesco Frangipane che proprio di recente ha presentato alla Festa del Cinema di Roma il suo film “Dall’alto di una fredda torre” nato proprio tra le pareti dell’Argot in forma di spettacolo teatrale. E come direbbe anche lui, parliamo di un teatro che si fa cinema vivo. Ecco, queste sono alcune delle caratteristiche che hanno proprio interessato il racconto; la narrazione di questi 40 anni di storia e che ancora oggi cerchiamo di portare avanti con una certa coerenza e continuità, però non smettendo mai di trasformare, cambiare, innovare i nostri linguaggi. 

Per concludere, alla luce della crisi che attraversa il mondo culturale e, in particolare, quello teatrale, quali obiettivi ti poni (e vi ponete) per garantire che l’Argot Studio mantenga la sua identità artistica nel futuro?

Noi stiamo già lavorando nel presente a questa azione qua. Ho citato prima gli anni del Covid perché sono in qualche modo presenti anche nel nostro racconto. Nel 2020 viene prodotto uno spettacolo “Segnale d’allarme. La mia battaglia VR”: è stato un esperimento; il primo in Italia di portare lo spettacolo dal vivo ad essere fruito attraverso dei visori di realtà virtuale. Protagonista Elio Germano – anche fra l’altro coproduttore di questa iniziativa insieme a Pierfrancesco Pisani, che è appunto l’altra voce che si è affiancata a me e a Francesco nella direzione e nella guida dell’Argot, anche i termini di centro di produzione e di distribuzione nazionale. Alcuni dei nomi che ho citato prima sono stati avvicinati proprio da questa congiunzione e quindi, secondo, me sono già degli esempi nel presente di quello che stiamo cercando di fare per cercare di sviluppare la nostra storia e proiettarla nel futuro.

La scommessa di Francesco, quest’anno, è quella di creare la rassegna di cinema attrezzando la sala Argot anche come sala di proiezione. Sarà un esperimento, lo sottolineo, perché l’abbiamo sognato tanto e finalmente diventa un processo reale. Argot l’abbiamo sperimentata in forma di sala VR; continua ad essere sala di produzione teatrale; continua ad ospitare giovani grazie a Dominio Pubblico. Quindi tutti questi ingredienti insieme sono già in qualche modo nel presente la nostra traiettoria; la nostra spinta verso il futuro.

I grandi nomi che ci stanno seguendo in questo processo, sia di nuova generazione che quella più adulta, sono poi anche queste delle conferme importanti. Quello che mi auguro è che tutto questo non rimanga soltanto lì, nel nostro piccolo spazio; ma che prima o poi possa essere intercettato dalle istituzioni pubbliche come un modello e come una possibilità anche di allargare questa possibilità ad altri spazi che forse dopo 40 anni ci meritiamo. Noi siamo molto affezionati al nostro piccolo teatro in Via Natale del Grande dove tutto questo è stato generato; però – forse – sarebbe arrivato anche il momento che questa città ci aiutasse a trovare spazi più adeguati per proseguire questa storia, assicurando invece a nuove formazione artistiche (ce ne sono tante in questa città che si mettono in gioco, come Teatro Basilica, Fortezza Est, Carrozzeria N.O.T., per citare quelli più recenti) che hanno dimostrato che queste storie possono essere ancora possibili. Però questa città se le deve meritare; deve dargli più attenzione, visibilità.

© Alessandra Poggi

In un panorama culturale complesso e in continua evoluzione, l’Argot Studio dimostra così come l’arte, pur rimanendo fedele alle proprie radici, possa essere sempre terreno fertile per nuovi linguaggi e sperimentazioni. Con uno sguardo rivolto al passato, ma con il cuore pulsante proiettato verso il futuro, questo teatro continua a rinnovarsi garantendo spazio e voce a giovani talenti e mantenendo vivo quel dialogo artistico che da quarant’anni ne costituisce l’anima.

Immagine di copertina: © Manuela Giusto

Teatro Roma
Grazia Menna

(R)esistere al confino

Antonio Mocciola “ricama” sulla pelle di Bruno Petrosino il personaggio di Fosco Sotto un lenzuolo che nasconde una sagoma, delimitato

Leggi Tutto »