Tutti ne parlano, tutti la amano. Se sui social in queste settimane non hai detto la tua su “Strappare lungo i bordi” hai rischiato di essere tagliato fuori da ogni discussione. Ogni tre post c’era l’Armadillo con le sue massime in romanesco, o il Secco che “se annamo a pija il gelato?”. Quando un prodotto diventa così discusso crea facilmente fazioni opposte: chi non ne può più di sentirne parlare, chi non se la leva dalla testa, chi la evita a prescindere. Zerocalcare pare abbia invece messo tutti d’accordo: la serie è bella, emozionante e divertente.
La trama
La serie animata, prodotta da Movimenti Production in collaborazione con la casa editrice BAO Publishing e disponibile su Netflix, ci porta nel mondo di Michele Rech aka Zerocalcare e le sue paranoie. Il pretesto è un viaggio da Roma a Biella che il ragazzo compie insieme ai suoi due amici di una vita, Sarah e Secco. Il motivo verrà svelato solo nell’ultima puntata ma nel frattempo siamo traghettati in un altro viaggio, un flusso di coscienza del protagonista che si muove su piani temporali e spaziali diversi. Da quando è solo un bambino delle elementari al giovane adulto in cerca di lavoro, tra l’esterno reale e l’interno, altrettanto reale, in cui dialoga con Armadillo, la sua coscienza (con la voce di Valerio Mastrandrea).
Strappare lungo i bordi
Ci si ritrova catapultati in una mente complessa e dinamica che va a mille. Ironia, ansia, poca socialità, problemi personali di qualsiasi tipo si riversano sullo spettatore con foga, senza dare il tempo di processare ciò che succede. È un po’ lo stile che Zerocalcare ha fatto già vedere in passato, tra video su YouTube e Instagram, con i quali ha raggiunto una certa notorietà fra il grande pubblico durante il primo lockdown. I temi restano gli stessi.
È la visione di un mondo disilluso in cui si cresce pieni di sogni e aspettative, con la paura di deludere chi ti sta vicino, raccontando a te stesso che prima o poi qualcosa cambierà e riuscirai a strappare lungo i bordi della tua identità. Ma questo momento è sempre lontano e nel frattempo, senza rendertene conto, ti sei chiuso a guscio e per la paura di sfigurare hai visto il mondo da una fessura, ti ritrovi grande e le tue ansie continuano a crescere.
Forse il segreto, come i bambini dicono dall’inizio della serie, è che noi “siamo soltanto dei fili d’erba” e di noi non importa a nessuno, nel prato grande che formiamo. Che senso ha continuare a dannarci, cercando di strappare quel pezzettino di noi stessi in maniera corretta e preimpostata, quando tutto ciò che accade è in realtà imprevedibile? Lasciamo andare la minuziosità, l’ansia da prestazione, la paura di sbagliare e accogliamo la vita per quello che è. Teoricamente questo. Praticamente è difficile e continuiamo a soffocare tra i patemi di ogni giorno, l’agitazione e la retorica che ci raccontiamo.
In realtà è anche divertente
Ok, forse sembra prendere una piega cupa e malinconica. Da un certo verso è anche così, ma tutto è raccontato attraverso una voce ironica, personaggi stralunati, gag divertenti. I temi sono importanti ma narrati con un umorismo intelligente, giovane. Zerocalcare mostra le difficoltà dei ragazzi a fare i conti con il mondo e dei vecchi ragazzi a fare i conti col passato. Sono problematiche attuali che vengono spesso espresse tramite i social. Forse il fatto che abbia messo tutti d’accordo è proprio perché è riuscito a narrare i disagi che sono intergenerazionali, ma che sono soprattutto molto attuali.
Insomma, la serie animata ha fatto il botto, è piaciuta a (quasi) tutti. Forse Zerocalcare è riuscito veramente a strappare lungo i bordi. E nel frattempo si prospetta una seconda stagione.