Ricordo di un’artista popolare che come poche ha saputo raccontare le viscere emotive della città eterna
Antica e moderna, inquieta, fragile e un fascino al quale era difficile sottrarsi, una voce che sembrava un urlo di dolore e una personalità artistica prorompente, impossibile da dimenticare. Vent’anni fa a soli 61 anni moriva Gabriella Ferri, protagonista negli anni settanta di canzoni, film e romanzi che appassionarono e che continuano ad appassionare. Chi non la ricorda con quella cascata di capelli biondi come l’oro quando cantava con quella voce ruvida vicina al blues Dove sta Zazà?
È stata lei Gabriella Ferri la romantica e aggressiva rivoluzionaria di una Roma già internazionale, ma ancora succube come scrive Patrizio Ruviglioni di Repubblica, “volontaria di certe tradizioni”, capace di trasformare la tradizione popolare in linguaggio universale come quella “dolce vita” immortalata da Fellini che la definì un” pagliaccio di razza”, Flajano e Pinelli, in una via Veneto un tempo tempio dell’eleganza e della cultura, oggi spolpata e anonima conquista del turismo di massa.
Sinno’ me moro, Ti regalo gli occhi miei, Barcarolo romano, La società dei magnaccioni: Canzoni, stornelli, parole, musica interpretate da una grande artista che ha saputo cantare come pochi la città eterna al pari di Anna Magnani, Aldo Fabrizi, Claudio Villa o come i dissacranti sonetti del Belli e di Trilussa. Già, Gabriella Ferri una “testaccina” come dicono i vecchi romani a mo’ di complimento, famosa anche come ambasciatrice all’estero di quella romanità che conquistava tutti. «Il mio non è un discorso musicalmente colto: la mia è una certezza del tutto emozionale, ma io credo che un cantante debba poter cantare tutto ciò che ama davvero».
Ricordate Vamp di Paolo Conte? È proprio il caso di dire come hanno titolato i giornali, ricordandola : «Gabriella Ferri, è come un vecchio ritornello che si canta ancora vent’anni anni dopo».
Quando morì per una maledetta caduta cadendo tragicamente dal balcone della sua casa di Corchiano a due passi da Viterbo, Alda Merini l’indimenticabile poetessa dei Navigli gli dedicò una poesia. «Sei libera, finalmente da quei dolori del sogno che danno trafitture e croci da tanti sordidi amori non ricambiati o forse rifiutati per sempre». Sembra ancora di sentirla, tra i vicoli decadenti di Trastevere e quelli della movida di Testaccio lei, con quella frangettona bionda da impunita e quel look da figlia dei fiori, dire: “A more’ fateme passa’, so’ Gabriella vostra”!