Cosa hanno in comune una ragazzina chiusa nella sua camera e la principessa dell’opera di Puccini? Più di quel che pensiamo, almeno a Caracalla
Stessa scenografia, opera completamente diversa. A Caracalla come per la Tosca si resta sul palco bianco di Massimiliano e Doriana Fuksas ma si vola nell’Oriente di Turandot, in scena ancora per quattro serate fino al 10 Agosto. E di certo Puccini non poteva immaginare la principessa della sua opera diventare protagonista di un videogioco, avatar di una giovanissima Hikikomori (Chiara Bartolucci). Questa parola giapponese che indica un problema globale, i ragazzi in ritiro sociale, chiusi nelle loro stanze, lontani da scuola, amici, persino dalla famiglia che vive dall’altra parte della porta. Ragazzi il cui mondo si riduce a quattro mura e un pc, da cui si apre una realtà nuova, fittizia, dove potersi nascondere. Avatar, nickname, la possibilità di essere altro. Magari proprio Turandot.
Si gioca così su due piani, da un lato la giovane al computer, dall’altro l’opera. La scelta dei costumi (sempre di Giada Masi) non contemporanea, si resta nell’idea di un Oriente lontano nel tempo e nello spazio, d’altra parte in un videogioco si ci può immaginare ovunque, eccezione fatta per Ping, Pang e Pong (Haris Andrianos, Marco Miglietta e Marcello Nardis), tre pallini colorati, forse assistenti del giocatore e non solo di Calaf (Luciano Ganci, che con il Nessun Dorma ottiene più che meritati applausi dalla platea piena quasi al completo).
A ricordarci di essere in un gioco due dettagli: l’utilizzo delle proiezioni della scenografia, che ricreano la schermata di un sito per streamer, e il Coro dell’Opera di Roma, il cui canto sale da dove si trova nascosto, nella buca assieme alla sempre ottima Orchestra del Teatro dell’Opera, in questa occasione diretta da Donato Renzetti. Nascosti come si nascondono i commentatori su internet, invisibili se non tramite le loro parole – scritte o cantate-, spesso liberi di ferire celati dietro il loro anonimato.
In scena tutto è bianco, non c’è aggiunta di colori od oggetti fisici, proprio come nella Tosca la scelta è stata quella di lasciar spazio agli interpreti, a cominciare da Liù, portata sul palco da Juliana Grigoryan, che tra i protagonisti ha guadagnato il più lungo degli applausi, lei che si cala in un personaggio che in questo allestimento, ancora più del solito, finisce per diventare centro della vicenda.
Era invece Angela Meade la nostra Turandot. Voce potente e corpo quasi immobile, rinchiusa in una abito-torre che le fa da fortino, simbolo di ricchezza e nobiltà, certo, ma anche della solitudine di una donna che ha lasciato tutti fuori.
Nella sua vita c’è posto solo per il padre, l’imperatore Altoum (Pietro Giuliacci), che fatica a vivere quella situazione proprio come il padre della ragazzina al computer, sola nella sua stanza-torre.
Turandot, la favola che si fa videogioco. Gli indovinelli risolti da Calaf non sono modo per arrivare al cuore della protagonista ma punti persi, e la Turandot-ragazzina inizia a soffrirne. La vediamo sul lato del palco togliersi i vestiti, raggomitolarsi a terra per la rabbia, l’odio, l’angoscia di vedersi spodestata nel suo mondo, quello costruito per lei ma non più così perfetto. Non la forza della Turandot-protagonista che affronta la sconfitta con l’indovinello del nome, la sua disperazione sembra infinita. E mentre lei soffre va in scena la fine dell’opera, l’attimo in cui Liù muore, il compimento di una storia che tutti i protagonisti immaginavano diversa. L’inaspettato, l’elemento non calcolato, la falla nella storia.
In un gioco in cui o vinci o perdi si intromette l’opzione fuori da ogni ipotesi, anche dai codici di gioco. Così lontano dalle aspettative da essere il trauma finale per entrambe le Turandot, libere ora dalle loro torri, fisiche e non. Si abbracciano al centro del palco mentre le luci si spengono, si riuniscono i due piani dell’Opera.
Un allestimento inaspettato che funziona, al quale si può fare un solo commento; perché d’estate, a Caracalla, con la platea piena sì ma più di turisti che di cittadini e non al Costanzi, d’inverno, davanti a qualche scolaresca? L’Opera italiana, patrimonio UNESCO da pochi mesi, è ancora spesso lontana dai nostri studenti, troppo. Una favola con elementi così contemporanei può essere l’occasione di portare in sala i più giovani, di unire il mondo lirico al loro mondo, dar loro un’opportunità che molti singolarmente non hanno e che dovrebbe essere invece parte obbligatoria del percorso formativo.
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Turandot di Giacomo Puccini – Direttore Donato Renzetti – Regia Francesco Micheli – Maestro Del Coro Ciro Visco- Progetto Scenografico Massimiliano E Doriana Fuksas – Costumi Giada Masi – Video Luca Scarzella, Michele Innocente, Matteo Castiglioni – Movimenti Coreografici Mattia Agatiello – Luci Alessandro Carletti – Drammaturgia Alberto Mattioli – Orchestra e Coro del Teatro dell’Opera di Roma – Con la partecipazione della Scuola di Canto Corale – Caracalla dal 16 luglio al 10 agosto
Personaggi e interpreti: Turandot Angela Meade – Calaf Luciano Ganci – Liú Juliana Grigoryan – L’imperatore Altoum Piero Giuliacci – Timur Alessio Cacciamani – Ping Haris Andrianos – Pong Marcello Nardis – Pang Marco Miglietta – Un Mandarino Mattia Rossi (Dal progetto “Fabbrica” Young Artist Program del Teatro dell’Opera di Roma) – Principe Di Persia Giordano Massaro – Prima Ancella Susanna Cristofanelli – Seconda Ancella Laura Orlandi