Con I perdenti di Acapulco Lahire Tortora racconta di chi al cinema c’è, si vede ma esiste poco.
Lahire Tortora sale sul palco come se stesso, si siede sugli scalini e parla al pubblico prima di andare in scena. Siamo al Teatro Trastevere il 17 novembre, l’ultimo due giorni in cui va in scena I perdenti di Acapulco. Uno spettacolo terribilmente complicato, c’è scritto nel sottotitolo in cartellone, e Tortora ci tiene a raccontare ai suoi spettatori cosa sia questa complicazione. Il testo presentato la prima volta a gennaio 2020, la vittoria di un premio e poi gli stop legati alla pandemia, alle chiusure imposte dai governi. E ancora il maltempo che si mette in mezzo, la sensazione che sia uno spettacolo che “non s’ha da fare”. Forse un altro, nella superstizione che un po’ circonda il mondo dell’arte, avrebbe messo il testo da parte. Tortora invece è andato avanti, ci ha provato ancora, e viene spontaneo dire menomale.
Partendo dal testo di Steve Berkoff, “il nostro” si è fatto in quattro – letteralmente – per raccontare le vicende di Steve, John, Will e Voyo, gli extras, le comparse sul set di Rambo 2. Tutto si svolge nel bar dell’hotel dove gli (aspiranti) attori alloggiano. Un tavolo pieno di bottiglie di rum e alcolici ci lascia immaginare il caos, le masse di uomini alticci che potrebbero circondare i quattro colleghi. Definirli amici è troppo, sono più persone costrette a condividere la vita per qualche settimana. Nel bar dove si incontrano per far passare le serate, almeno quando non trovano altro genere di compagnia, si raccontano i sogni e le speranze, mostrando i quattro caratteri terribilmente diversi che probabilmente in un’altra situazione non si sarebbero mai seduti vicino.
Lahire Tortora si alterna tra i suoi protagonisti con una maestria che pochi potrebbero vantare.Basta indossare giacca, occhiali scuri e cappello per diventare Steve, il più taciturno, l’uomo che quando parla tutti ascoltano ma poi smentiscono, perché troppo filosofo per il loro ambiente.
Oppure gli occhialetti da vista di John, che ha sempre qualcosa da ridire. L’impressione esterna è che si tratti di un personaggio anziano, comunque più grande degli altri, tentato dal disilludere tutti col suo carattere non eccezionalmente simpatico. A differenza di Will, l’uomo della sigaretta, che si sente un attore, un divo sul punto di brillare in attesa della sua occasione, anche se alla fine è solo una comparsa, un prigioniero di guerra in gabbia che aspetta d’esser salvato dal vero eroe della pellico. Da ultimo c’è Voyo, occhiali da sole a specchio e aria da duro. Tortora è uno, ma riesce a farcelo immaginare quest’uomo proveniente dal mondo sovietico – siamo pur sempre a metà anni ottanta – grande e grosso, con in testa il lavoro la mattina e qualche donna nel letto la sera. Lontano dalle luci di Hollywood entriamo nel mondo di chi al cinema c’è ma non si vede, di chi a volte neanche compare nei titoli di coda.
Sono figure raramente trattate, ma possiamo provare a immaginare i film senza comparse e figuranti, fatti solo dai protagonisti?
I perdenti di Acapulco ci apre una porta sulla realtà delle comparse, uomini che aspettano e sperano in un’occasione che potrebbe non arrivare mai. Si sente la frustrazione del camminare accanto a un sogno che potrebbe restare tale, la speranza, le storie di vita alle spalle che premono per il desiderio di rivalsa, di un domani migliore, e la triste consapevolezza che alla fine sui redcarpet, sulle locandine e alle premiere ci saranno solo i grandi divi.
Anche se dietro a quelle interpretazioni da Oscar c’è un mondo silenzioso, ricordato forse in qualche sito internet specializzato che elenca tutti, uno per uno, gli attori partecipi alla produzione. Comparse comprese.
I PERDENTI DI ACAPULCO – UNO SPETTACOLO TERRIBILMENTE COMPLICATO – di e con Lahire Tortora – Liberamente ispirato ad Acapulco di Steven Berkoff – Scene e costumi di Marta Mazzucato – Assistenza tecnica di Fabio Berton – Progetto grafico di Giorgia Faccin – Con il sostegno di TeatroINFolle Teatro Trastevere 16 e 17 novembre.