Al Cometa OFF, Petricore ci porta a Rebibbia tra dubbi morali e umanità
La pena di morte torna in vigore. Nell’Italia del XXI Secolo qualcosa, forse i troppi crimini, forse il bisogno di rigidità, obbliga il Parlamento a reintrodurre uno dei più discussi temi del diritto moderno. Sono queste le premesse di “Petricore”, andato in scena al Teatro Cometa OFF dal 22 al 27 ottobre per la regia di Licia Amendola.
I giuristi perdoneranno le forzature procedimentali su cui si basa la storia, semplificazioni necessarie a creare la base per raccontare le vicende di Claudio (Matteo Cirillo) e Marco (Leonardo Bocci). Sono loro le guardie carcerarie di Rebibbia a cui spetta il compito di vigilare su Valerio (Simone Guarany, co-autore del testo insieme a Licia Amendola), il primo condannato alla pena capitale dopo quasi settant’anni.
In sottofondo la voce fuoricampo di Giorgio Gobbi è quella del giudice chiamato a stabilire la sentenza. Sul palco del Cometa OFF la scena si divide, in primo piano abbiamo l’ufficio e sullo sfondo la cella. Lo spazio dove i tre protagonisti convivono la maggior parte del tempo.
Claudio e Marco hanno due visioni molto diverse tra loro su come affrontare ciò che gli spetta, ed entrambi gli attori hanno avuto la capacità di rendere assolutamente realistico il modo di porsi dei loro protagonisti. Da un lato Claudio che ha dubbi, si pone domande, non vuole mettere in discussione l’autorità ma non può neanche eseguire e basta. Dall’altro Marco, il cui motto di base rimane una sorta credere-obbedire-combattere (parte anche un saluto romano a un certo punto). Crede ciecamente nella sua divisa, nel ruolo che ha e in quello degli altri rappresentati dello Stato, tanto da non dubitare neanche per un attimo della colpevolezza di Valerio.
Dal punto di vista dello spettatore invece è tutto molto più chiaro. Per come è costruito il personaggio è quasi scontato che Valerio sia innocente, il dubbio non viene. Guarany riesce a raccontarci un uomo che non ha più neanche voglia di lottare, che accetta il suo destino e prova a non piegarsi alla violenza che non ha commesso ma lo circonda. Tanto che il titolo, petricore, è la parola che descrive l’odore di pioggia sulla terra asciutta. Un simbolo di umanità e normalità che Valerio ha perso e non riavrà mai più.
In questo senso non è tanto una riflessione sulla pena di morte ma sui diversi approcci che possono essere connessi al tema.
Qualunque idea si abbia in scena c’è un personaggio che la pensa in modo opposto. E che ha una storia personale dietro strettamente connessa alle sue posizioni. Il privato dei due poliziotti è il secondo grande elemento. Si sviscera man mano, nelle confidenze più o meno delicate che si fanno durante le lunghe giornate di lavoro. Sono soprattutto i rapporti coniugali a essere sullo sfondo, fino a diventare parte delle loro scelte lavorative, perché a volte l’etica si scontra con la durezza del quotidiano, le necessità pratiche. Una moglie malata, il bisogno di denaro, l’opportunità. Valore e sentimento, pubblico e privato.
Il viaggio a Rebibbia che facciamo con “Petricore” è un viaggio pesante, e poco ci rinfranca l’anima pensare che no, la pena di morte non può tornare con questa facilità. Ci racconta delle carceri, tema costantemente caldo in Italia, di chi ci lavora. Pur non essendo il focus dello spettacolo si sente la pesantezza del clima, la fatica addosso alle anime dei lavoratori di un comparto così complesso.
Non parliamo di uno spettacolo facile, ma come spesso accade in questi casi potremmo definirlo necessario, un momento di riflessione di cui abbiamo bisogno. Uscire da teatro con ancora domande in testa, pensare e ripensare a ciò che si è visto e magari approfondire, provare a farsi un’idea personale, andando oltre ai possibili preconcetti su un tema di cui si parla ma poco e male. Il colpo definitivo di “Petricore” è il suo finale, scoprirsi spettatori sì ma della peggiore occasione, del momento più terribile. Non c’è il tempo di un applauso, di staccare la mente.
Si finisce in medias res, se così si può dire. E il peso sul cuore dei protagonisti diventa il proprio.
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Petricore – Scritto da Licia Amendola e Simone Guarany – Con: Leonardo Bocci, Matteo Cirillo e Simone Guarany – Regia: Licia Amendola – Con la partecipazione in voce fuori campo di Giorgio Gobbi – Aiuto Regia: Giulia Bornacin – Assistente alla Regia: Filippo Gentile – Scenografia: Francesca Meloni e Giulia Bornacin – Costumi: Jenni Altamura – Musiche/Effetti: Simone Martino – Disegno Luci : Giulia Bornacin e Licia Amendola – Cometa Off dal 22 al 27 ottobre.
Foto di ©Matteo Nardone