Reuza

“Reuza” di Loris Abrignani: la recensione della seconda opera di “Poems – Quando il cortometraggio diventa una serie”

di Miriam Bocchino

 

 

La seconda opera dell’antologia “Poems – Quando il cortometraggio diventa una serie” è “Reuza” del regista Loris Abrignani.

Distribuito da Direct to Digital e visionabile su Amazon Prime Video, il corto, un soggetto dello stesso regista e di Marco Spinetto e Aron Aboukhalil, è un’opera violenta, quasi mistica e surreale.

Due fanciulle sono le protagoniste di una narrazione che in pochissimi minuti suscita sgomento e “fastidio”. Gli occhi osservano scene cruente in cui la passione si scontra ferocemente con il pentimento e le punizioni.

L’opera si presenta inizialmente allo spettatore con una fotografia malinconica e placida. Un uomo, Jared (Tiziano Ferracci) segue un coniglio bianco tra la vegetazione fino a scoprire un’abitazione sperduta nel bosco in cui chiaramente si è consumata una storia di violenza e di orrore.

Rosa (Federica Mignemi) e Bianca (Sara Mennella) sono giovani dal viso angelico eppure portatrici di un male non identificabile. Lo spettatore osserva in modo quasi ossessivo le immagini dei loro incontri amorosi che si tramutano in preghiere e punizioni corporali.

La musica, nessuno degli interpreti pronuncerà mai una parola, coinvolge totalmente chi osserva la storia: è ipnotica, quasi preveggente e infine fatale.

“Reuza” è un racconto surreale e potente grazie alla fotografia di Marzio Mirabella e dell’assistente Luca Siciliano e al lirismo delle musiche di Aboukhalil, ma è, soprattutto, una vicenda disturbante, incomprensibile e affascinante.

Le due fanciulle vivono una follia collettiva oppure la passione è stata così fatale da tramutarsi in antica colpa e consapevolezza di peccato?

Le scene di intimità non hanno alcuna dolcezza ma sono feroci. Emerge l’animalità dell’azione che si compie e l’umanità che sopraggiunge quando la consapevolezza diviene evidenza.

Il candore delle vesti di Rosa e Bianca si contrappone al rosso del sangue versato sull’innocente e sull’innocenza perduta e divenuta il male.

Reuza ha una storia che facilmente potrebbe trasformarsi nel soggetto di un lungometraggio.

Il regista, in modo originale e scegliendo la strada del “silenzio” e del comunicare con sole immagini, riesce a catapultare lo spettatore nell’arcaica condizione umana di passione e colpa, soggetto questo sempre presente nella letteratura e che ancora oggi continua ad ammaliare.

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