Al Teatro di Documenti “Gli esclusi” racconta di cognomi illustri e diagnosi psichiatriche, dando voce a chi non l’ha potuta avere
Venire al mondo prescinde da ogni scelta. Dove, in che epoca, in che condizione sociale. Ma soprattutto in quale famiglia e con quale salute, se il tuo corpo e la tua mente ti assisteranno o se sarà un viaggio difficile, se il tuo nome sarà tuo o se apparterrà alla collettività perché tuo padre, tua madre o altri della tua stirpe hanno già segnato la strada del mondo.
Parte da qui il lavoro de Gli esclusi, andato in scena dal 26 al 29 novembre al Teatro di documenti per la regia di Valentina Ghetti a partire dal testo di Roberta Calandra. Siamo osservatori psichiatrici, questa volta ci viene chiesto di assistere a un esperimento. L a forma del teatro lo consente, gli attori staranno al centro e noi tutti intorno. Come animali allo zoo, circondati da chi vuol saperne qualcosa in più di quelle strane creature chiuse in gabbia.
Tutto è bianco, la scena e i loro abiti, proprio come in un reparto psichiatrico. Fa eccezione il cappello di una delle protagoniste, che era ballerina e ha mantenuto un po’ del suo estro.
Loro sono sei figli illustri, accomunati da cognomi pesanti e diagnosi psichiatriche.
Vengono dal vecchio e dal nuovo continente. Tre sono gli italiani, Giorgio Agnelli (Dario Masciello), Benito Albino Mussolini (Leonardo Zarra) e Aldo Togliatti (Luca di Giovanni), questi ultimi con nomi che accostati farebbero tremare, e che invece si ritrovano immaginariamente vicini nella malattia.
Non sono gli unici figli di politici, c’è anche Rosemary Kennedy (Caterina Gramaglia) che entra in scena in carrozzina con un pupazzo di Winnie the Pooh, simbolo di una vita che si è fermata alla lobotomizzazione. Un’altra donna, poi, anche lei cresciuta in Italia. È Lucia Joyce (Camilla Ferranti), figlia di James, ballerina di talento frenata dalla diagnosi di schizofrenia.
A chiudere il gruppo è il nome che non ti aspetti, l’uomo figlio del più grande dei cervelli costretto a incontrare sul suo cammino la psichiatria, prima come medico e poi come paziente, Eduard Einstein (Alessio de Persio, che ci fa sentire davvero vicino questo uomo grande e grosso ma così emotivamente fragile).
Una strana sestina, unita dalla sofferenza e da quella scelta mai fatta, i nomi che si portano addosso. Un foglio fornito dagli spettatori prima di entrare in sala, distribuito da donne in camicie, ci spiega quali saranno le fasi dell’esperimento, un susseguirsi di stimoli ai quali i protagonisti verranno sottoposti man mano per vedere come reagiscono.
Niente elettroshock, sia chiaro. I sintomi riguardano soprattutto la reazione alla musica e al rapporto con gli altri. Mettersi in relazione, poter dir la propria e raccontarsi, aprirsi davanti a chi non giudicherà perché conosce la stessa storia, variante più variante meno.
Nonostante le raccomandazioni si smette però ben presto di guardarli con occhio clinico, anche solo per gioco. L’empatia prende il sopravvento, non si può mantenere il distacco dalla sofferenza in scena.
Sono diverse le emozioni che proviamo per ogni personaggio, dalla tenerezza che scaturisce per Rosemary Kennedy, per sempre nella mente di una bambina, e Lucia Joyce, la cui malattia sovrastò il talento, alla distanza che più facilmente si prova nei confronti di Giorgio Agnelli, che sicuramente avrebbe avuto una vita al limite anche in una storia meno triste.
C’è poi l’animo politico, Mussolini e Togliatti.
Cosa, chi sarebbero stati. Quale ruolo avrebbero potuto avere in quella storia d’Italia così complessa che è quella del Novecento. Domande senza risposta, destinate a perdersi nella nebbia della mente umana, la loro e la nostra. Ciò che però più di tutto resta è la riflessione sul valore che il mondo dà alla malattia psichiatrica. Perché se a soffrire fosse stato il loro fisico, se li ricordassimo per mali del corpo, dal cancroalla tubercolosi, forse l’immagine sarebbe diversa.
A quarantasei anni dalla Legge Basaglia, la legge che chiuse in Italia i manicomi, è ancora complesso avviare una discussione, sociale prima ancora che politica, sul tema. Il tema della salute mentale è ancora lontano dall’essere qualcosa di cui si parla, si aprono timidi spiragli, crepe di luce nel muro dell’indifferenza, ma è ancora poco. Eppure non è una scelta, la malattia accade e basta. Il corpo e alla mente, al famoso e allo sconosciuto, al ricco e al povero.
Succede e riguarda tutti, come singoli e come società.
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Gli Esclusi di Roberta Calandra – Adattamento e regia: Valentina Ghetti con la supervisione di Roberto D’Alessandro – Con Caterina Gramaglia, Camilla Ferranti, Alessio de Persio, Dario Masciello, Luca di Giovanni, Leonardo Zarra – In collaborazione con Centro Culturale Mobilità delle Arti, Roberto D’Alessandro e Obiettivo Roma – Teatro di Documenti dal 26 al 29 novembre
Foto di scena di ©Beniamino Finocchiaro : Alessio de Persio e Camilla Ferranti