A pochi giorni dalla scoperta degli eccidi di Bucha, Makariv, Kramatorsk e altre città in Ucraina va in scena uno spettacolo che ricorda i luoghi e le persone che simili violenze le provarono in un’altra guerra europea, quella nei Balcani.
Ha debuttato in prima assoluta dal 12 al 14 aprile al Teatro Cometa Off Perché io ho vinto, monologo tratto dal libro di Luca Leone Višegrad. L’odio, la morte, l’oblio per Infinito Edizioni. L’attrice Nela Lucic, con la regia di Luca Gaeta, mette in scena la vera storia di Bakira Hašečić, vittima di violenza durante il genocidio che si è consumato in Bosnia Erzegovina durante la guerra degli anni ’90.
Višegrad è stata una delle prime città martiri dell’inferno nei Balcani, le cui ferite hanno costituito un orrido preludio per quella che sarebbe diventata la guerra più sanguinosa in Europa dal secondo conflitto mondiale.
Bakira, la donna raccontata nello spettacolo, ha vissuto sulla propria pelle i massacri di Višegrad.
“In pochi mesi la pulizia etnica ai danni dei musulmani-bosniaci – che costituivano il 63 per cento della popolazione locale – viene portata a termine con operazioni di rastrellamento, deportazioni, omicidi di massa e persino attraverso la combustione”
racconta Luca Leone nel libro dal quale è nato questo testo teatrale.
Sul palco del Cometa Off l’attrice bosniaca Nela Lucic diventa Bakira e comincia a raccontare gli orrori di Višegrad. Ricorda i momenti in cui gli amici e vicini di casa si trasformarono in criminali, la paura di morire e il coraggio di lottare. Rivive l’entrata in città del gruppo paramilitare serbo-bosniaco delle “Aquile bianche”, guidato dai cugini Milan e Sredoje Lukić, che si macchiarono dei peggiori crimini contro l’umanità.
“Lo stupro etnico ai danni di donne, bambini e uomini diviene pratica comune”, e Bakira racconta anche questo, la tragedia dello stupro, il dolore di una vita segnata per sempre.
Il testo si concentra eccessivamente sul racconto di una serie di avvenimenti atroci e terribili. È stata un massacro quello di Višegrad e una storia che non avremmo mai voluto sentire quella di Bakira. L’impressione è che si sia cercato di entrare nel cuore delle persone facendo rivivere lo strazio di una donna, la disumanizzazione dei miliziani e l’insensatezza della guerra, senza però far arrivare un sentimento più sincero, senza mostrare un’altra visione rispetto a quella di cui già tutti sono a conoscenza. È come assistere a delle immagini crude, terribili, vere di una guerra. Una cronaca della tragedia che diventa estetizzazione del dolore.
Ad anni dal conflitto che ha segnato l’est Europa non basta più il racconto puro e toccante per entrare nel cuore dello spettatore, ma è il momento di una spinta in profondità per cogliere quello che non si può osservare in superficie, sperando di comprendere le motivazioni e gli orrori di persone che ancora oggi, alle porte d’Europa, continuano nel disumano fratricidio.