Al Teatro Golden i due protagonisti di Tangentopoli si scontrano faccia a faccia nello spettacolo di Vincenzo Sinopoli e Andrea Maia
Il Teatro Golden è diventato un’aula di tribunale milanese per quattro giorni di fila, dal 27 al 30 Novembre. Un’aula vera, con lo scranno del giudice, quelli di imputato e pubblica accusa, addirittura le file per il pubblico – un metapubblico, non quello in sala-. E lo ha fatto perché c’era da celebrarsi un processo che conosciamo tutti, quello a Bettino Craxi, uomo e simbolo.
Tangentopoli, processo alla Prima Repubblica, scritto da Vincenzo Sinopoli e Andrea Maia, che ne ha curato anche la regia, non si ha lasciato nulla al caso, a cominciare dalla scenografia che ha trasformato il teatro romano nell’aula del palagiustizia di Milano, con tanto di finestra che guarda verso il Duomo e la Madonnina. È qui che le parole di uno scrittore straniero da anni in Italia (Danilo Ramon Giannini) permettono di immaginare uno scontro diretto mai avvenuto, quello tra Bettino Craxi (Antonio Milo) e Antonio Di Pietro (Simone Colombari).
Non un racconto, non un dibattito indiretto sui media, un vero e proprio processo in cui due delle figure più rappresentative di Tangentopoli possano affrontarsi faccia a faccia.
Assieme a loro e allo scrittore, che da bravo narratore interviene solo a bocce ferme, vi sono l’avvocato di Craxi (Morgana Forcella) e il Presidente del tribunale (Mario Casellato).
Quello a cui si assiste è un vero e proprio processo, dalla ricostruzione tecnica di come sarebbe potuta andare al vocabolario giuridico, fino agli eventi storici e politici narrati. In questo senso la cura riposta nella drammaturgia è encomiabile, capace di render giustizia tanto alla storia quanto al diritto senza però per questo far perdere allo spettatore il gusto della rappresentazione.
Merito anche di un cast adatto allo spettacolo, dalla voce di Milo, che salvo qualche cadenza dialettale un po’ più forte riesce a farci immaginare Craxi, alle movenze di Colombari, che di Di Pietro imita anche la famosa immagine con le braccia alzate.
Quel che è premiante è aver potuto raccontare un episodio che, inutile mentirsi, avrebbe avuto della teatralità anche nella vita reale. Non si deve fingere, forzare qualcosa di quotidiano come la giustizia nel teatro, esasperarla. E di fatti Casellato, che interpreta il ruolo più istituzionale, non deve esagerare la sua figura. Il Presidente del tribunale è formale, serio. Imputato e Pubblico Ministero sono più esagerati, con il magistrato che ricalca bene la figura reale a cui si ispira. Anche l’interpretazione di Morgana Forcella è stata al limite dell’impeccabile, questa donna avvocato capace di tenere il punto in dibattimento ma anche di relazionarsi con umanità con l’assistito, creando un equilibro realistico.
Ma non c’è solo il mondo del diritto e della politica nello spettacolo di Sinopoli e Maia, che al personale di Craxi e Di Pietro dedicano un lungo intermezzo.
Così lo scontro giuridico-politico si fa confronto umano, una lunga chiacchierata che ripercorre le vite private dei due protagonisti, quel che sono stati prima d’esser figure pubbliche, prima che il loro nome venisse associato a eventi e momenti della storia Repubblicana.
Un intermezzo emotivo che ha corso il rischio di allungarsi troppo. Non tanto per ragioni di drammaturgia, il dosaggio del tempo nella cornice complessiva della pièce risultava comunque adeguato, quanto per il rischio dell’effetto-condono. Entrare nell’emotività di un personaggio significa guardarlo da un punto di vista nuovo, mutando il giudizio politico e sociale in un’opinione più intima. E se da un lato ricordare che anche gli uomini di potere sono uomini è sacrosanto, e forse servirebbe farlo di più, dall’altro in un contesto simile si poteva rischiare di dar troppo peso a questo momento emotivo, a tratti quasi commovente.
Rischio ridotto dal rientro rapido e secco nei termini giuridici dello spettacolo. La cesura tra i momenti processuali e l’intermezzo emotivo è stata gestita in modo rigido, ricostruendo quindi senza problemi il formalismo necessario a non vedere nel momento delle conclusioni e della condanna una conseguenza dell’incontro più personale tra i protagonisti. Bisogna poi sottolineare come Tangentopoli abbia risentito poco dell’effetto “segno del poi”. Quando si racconta la storia come se fosse momento presente si può incorrere facilmente nell’errore di parlare consapevoli del dopo, mentre il futuro che si prospetta davanti a Craxi e Di Pietro, quel futuro che per noi è già passato, non è apparso condizionato dalla consapevolezza autoriale di quel che sarebbe stato. Né sul piano politico né su quello, più delicato, morale.
Senza pretese di chiudere sul palco il capitolo, solo con la voglia di immaginar un evento mai avvenuto, Tangentopoliha raccontato un pezzo di storia a chi la ricorda, a chi era troppo giovane e a chi non c’era ancora. Un mondo che è esistito, che ha condizionato il suo presente e il suo futuro, e che resta uno spartiacque delle vicende politiche e sociali del nostro paese.
Un eventuale scontro diretto Craxi-Di Pietro avrebbe avuto, forse, implicazioni successive ad oggi difficili da immaginare, ma non è difficile credere che per certi versi sarebbe andato come ideato da Sinopoli e Maia. Lo scontro tra il mondo che fu e quello che sarebbe stato, il passaggio del testimone da una “Repubblica” all’altra.
Una distinzione giornalistica che, ripensandoci, bisognerebbe rivalutare: due Repubbliche? O due atti della stessa?
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Tangentopoli di Vincenzo Sinopoli e Andrea Maia – Regia di Andrea Maia Con Antonio Milo, Simone Colombari, Morgana Forcella, Mario Casellato, Danilo Ramon Giannini – una produzione Goldenstar AM Teatro Golden – Centro di produzione teatrale – Teatro Golden dal 27 al 30 novembre 2025




