ORPHANS: La recensione

Roma anni Ottanta: siamo all’interno di un malandato e sporco appartamento della periferia romana: il giovane Felice vive con il fratello minore Filippo, affetto da una patologia psichiatrica, che ne mortifica il linguaggio e gli standard di comprensione. I due ragazzi, dopo che il padre li aveva abbandonati da piccoli, sono rimasti orfani di madre,  e si sostengono con i piccoli traffici che la vocazione criminale di Filippo riesce a portare a termine.

La pièce si lascia guardare con attenzione da subito perché a colpire è la delicata e divertente performance del giovane Mattia Fiorentini (che interpreta Filippo), perfetto nel creare un personaggio tenero e disturbato, ipercinetico e impressionabile, vittima dell’ ansiogena apprensione del fratello Felice (Edoardo Trentini) che impedisce al fratello minore di uscire da casa, per via di una asserita allergia  per l’aria esterna e per il sole, probabilmente diagnosticata dall’ineffabile Felice per conquistarsi il dominio assoluto in quel piccolo nucleo di abbandonati.  Così al povero Filippo non resta che guardare la vita dalla finestra di casa, e di consolare malinconia e paura chiudendosi nell’armadio in mezzo agli abiti della mamma.  Per lui il mondo di fuori non è esperienza, ma solo rappresentazione, proprio come nel mito della caverna descritto da Platone, ma l’impulso della conoscenza si affaccia di quando in quando, ricevendo purtroppo quotidiane e violente stroncature dal fratello Felice, che sospetta che il fratello gli nasconda i libri, dove lui rifornisce la sua rudimentale istruzione. Una sera Felice porta a casa Aldo (Vincent Papa), un ubriaco di mezza età che si addormenta sul divano, mentre la sua valigetta viene prontamente verificata.

La mattina l’ospite si sveglia legato ed imbavagliato: Felice è convinto che sia un ricco uomo d’affari e di poter ottenere un riscatto, ma quando rientra dopo una giornata passata (invano) a contattare i numeri dell’agendina dell’ostaggio per ottenere il suo scopo, lo trova libero e tranquillo che gira per la casa, dopo aver sciolto i suoi vincoli e essersi conquistato la fiducia del povero e spaventato Filippo. Anche lui racconta di avere trascorsi in orfanotrofio, ma ora è qualcosa di simile a un oscuro malvivente dalle grandi potenzialità economiche e propone a Felice un lucroso impiego da guardia del corpo. Da qui comincia una nuova convivenza in quell’appartamento e l’equilibrio di prima così si modifica:  Aldo non tarderà a esibire il suo carisma di capo e ciascuno dei membri a manifestare il bisogno di riferirsi all’altro, in un rimando circolare di bisogno affettivo, evidentemente carente per tutti.

Si tratta di un copione scritto nel 1983 dallo statunitense Lyle Kessler e da cui è stato tratto un film nel 1987 diretto da Alan Pakula dal titolo Un ostaggio di riguardo. La versione italianizzata (anzi “romanizzata”, fino ai riferimenti toponomastici alla Capitale) manifesta qua e là qualche deficit di sostanza e di compiutezza, probabilmente per via di un adattamento suscettibile di miglioramento, ma rappresenta comunque un’ interessante novità nel panorama teatrale della stagione.