Lo scorso 10 aprile è morta la celebre star americana assurta agli onori della cronaca nera per l’omicidio della moglie 30 anni fa.
Era il marzo del 1995, quando inviato per il Tg3 della Rai per seguire l’annuale cerimonia degli Oscar, qualche giorno prima girando con il van del mio operatore in cerca di “colore” mi imbattei in O.J. Simpson, il campione di football, popolarissimo attore di film e serie televisive, l’antieroe che divise l’America, accusato dell’omicidio della bellissima moglie Nicole Brown e del suo probabile amante Ronald Goldman il 12 giugno del 1994. Un caso giudiziario che divenne il “processo del secolo”, trascinato per mesi, si trasformò in uno caso mediatico seguito a livello internazionale. Un tempo atleta venerato, Simpson passò da icona della Hall of Fame a sospettato di omicidio.
Protagonista di uno spettacolare inseguimento da parte della polizia di Los Angeles (che fu accusata anche di razzismo) sulle autostrade californiane, ripreso in diretta dalle troupe televisive sugli elicotteri, assolto con non poche polemiche da quelle accuse che fece tirare un sospiro di sollievo all’intera comunità di colore, orgogliosa di quel suo popolare figlio, ex star della NFL, bello, elegante, amato, invidiato e odiato insieme, è morto a 76 anni sconfitto dal cancro.
Scontata la pena viveva di ricordi come in un film, come quel processo seguito da milioni di americani, quella mattina ci incrociammo con OJ accompagnato da due guardie e senza manette ai polsi, che attraversava la strada per entrare in tribunale.
Scendere al volo dal van con l’operatore fu un attimo, come il tentativo di un’intervista “alla baionetta” cogliendolo di sorpresa (aiutati forse dal fatto che ci qualificammo come giornalisti italiani, chissà!). Eppure al microfono fu lui a batterci in velocità dichiarando: Sono innocente i neri sono ancora discriminati lo hanno detto in tanti se facciamo i conti delle ingiustizie subite siamo sempre noi neri a pagare».
Sparì alla mia vista nel caos infernale fra fotoreporter e cineoperatori a caccia di scoop come avvoltoi che avevano puntato la preda e la giuria dopo nove mesi di processo lo giudicò innocente. Non colpevole in sede penale ma a seguito della causa civile intentata dalle famiglie delle vittime fu costretto a risarcirle con oltre 30 milioni di dollari. Fu salvata così un’icona, la star amata e tradita, la stessa idolatrata da mezza America. L’idolo delle folle che giocava a golf con Bill Clinton. “Forse non era colpevole di quell’orribile delitto, forse la giustizia aveva fallito, ma lo spettacolo ci aveva guadagnato”, ha scritto in un suo editoriale Emanuela Audisio su Repubblica.
Nel 2008 a 61 anni OJ, il re nero tornò in carcere, spezzando il cuore di milioni di fans per una rapina a mano armata finita male a Las Vegas per “recuperare” disse lui, degli oggetti che gli avevano rubato. Questa volta fu condannato a 33 anni di carcere, ne scontò solo 9 per buona condotta. Nel 2012 un noto serial killer condannato a morte, confessò al fratello di aver ucciso lui l’ex moglie di O.J. Simpson su suo incarico ma quella storia continuerà a rimanere per sempre un mistero.
A me resta il ricordo di quelle poche parole rubate e un blocco notes a righe di quelli con le pagine gialle che mi regalò lui prima di essere inghiottito dalla folla. Un taccuino denso di appunti, disegni, idee, suggerimenti e confidenze sul processo vergato con inchiostro di china da O.J e che divenne rapidamente un gadget che andò letteralmente a ruba in tutti gli Stati Uniti venduto al costo di 15 dollari. Un vero cimelio che custodisco gelosamente. E ora in quella Hollywood che lo ha conosciuto, amato, sfruttato ma mai dimenticato, si parla già di un film!