Il monologo “Occhi al cielo” scritto da Massimo Vincenzi è andato in scena al teatro Belli il 5 e 6 giugno. A interpretarlo la bravissima attrice Francesca Bianco.
Dal palco si viene gettati repentinamente nell’agosto del 1945 in Giappone, a Kokura, lì dove durante la Seconda guerra mondiale ci si sentiva schiavi della paura, dovuta alle frequenti esplosioni che minavano la sanità fisica e mentale di una società priva di prospettive favorevoli. La gente era diventati quasi apatica non riuscendo a impietosirsi per la morte altrui, che, bramava indifferenza. Una donna e il suo bambino di pochi mesi, sono già le vittime morali di un periodo storico straziante.
A migliaia km di distanza a New York, dopo qualche anno, nel 2001, un’altra madre tenta di crescere al meglio il figlio, indaffarata fra il lavoro e l’assenza di un marito traditore. Nel continente americano apparentemente regna la calma, i problemi cui si va in contro riguardano le faccende private, tutti bene o male provano a rimboccarsi le maniche da sé. Sarà una brutale imprevedibilità a sconvolgere il mondo intero.
La lontananza spaziale e temporale fra le due protagoniste si annulla nel momento in cui si ritrovano a vivere la medesima angoscia, causata da degli eventi catastrofici che rendono le loro interiorità l’una il riflesso dell’altra; lo scoppio della bomba atomica (avvenuto a Hiroshima per errore, provocando prima numerosi boati in svariati punti della città) e la caduta delle Torri Gemelle. Un gesto ricorrente le accomuna avvicinandole emotivamente, entrambe in preda allo sconforto rivolgono fiduciose lo sguardo verso gli occhi dei propri piccoli, gli stessi occhi che saranno costrette ad alzare al cielo quando ogni fievole fantasia umana crollerà definitivamente assieme agli edifici rasi al suolo e ai corpi delle vite spezzate.
L’impatto che hanno avuto tragedie del genere lo si può immaginare ma non fino in fondo, ma grazie a questa occasione di riflessione si ha avuto la possibilità di empatizzare con la sofferenza di figure femminili immerse nella solitudine, scosse da intimi turbamenti mai confessati ai cari. Le uniche persone che si fanno carico dei loro macigni emotivi si collocano fra il pubblico.
Lo spettacolo è spoglio dal punto di vista scenografico, scelta più che apprezzabile dato che nulla avrebbe potuto rendere giustizia a tali accadimenti, persino le luci sembrano far fatica ad accendersi, come a voler rappresentare lo sconcerto scaturito da tanto dolore. In contemporanea all’eloquio, su uno schermo vengono messi in risalto dei colori, il blu e il rosa, che si alternano distinguendo così le diverse località e i relativi stati d’animo. Come sottofondo sonoro, delle suggestive musiche, composte da Francesco Verdinelli, arricchiscono i racconti. Per accompagnare la narrazione si sono riprodotte con estrema fedeltà le voci provenienti dai veicoli aerei coinvolti negli attacchi, registrate da Fabrizio Bordignon, Stefano Molinari, Davide Gagliardini e Carlo Emilio Lerici, quest’ultimo alla regia.