Al Teatro Vittoria il destino di una “Nota Stonata”

Non ci sono dubbi: l’offerta teatrale selezionata dalla direzione artistica del Teatro Vittoria, capitanata da Viviana Toniolo, non si smentisce affatto. La sua, una scelta curata e di gran gusto che non poteva non proporre in scena la raffinata regia di Moni Ovadia.

Un solo atto, quello di Nota Stonata, di un’intensità a dir poco superba. Con la traduzione di Carlo Greco, la penna registica di Ovadia emerge chiara e netta in un tessuto drammaturgico compendiativo di storia, memoria, narrazione e azione scenica.

Levatosi il sipario, ad apparire è una scena minimalista: l’ignota realtà del dietro le quinte; la vita da camerino degli attori, qui, viene messa alla “mercè” degli spettatori. Al centro un grande specchio, che solo più avanti si scoprirà avere una funzione drammaturgica fondamentale. Sarà proprio quello specchio, difatti, a rappresentare una finestra sul mondo esterno; una finestra sul mondo dei ricordi.

Ad aprire le danze di un enigmatico pas de deux, il protagonista Hans Peter Miller (Carlo Greco) in tutta la sua presenza scenica e dialettica ricca di pathos. Contrariamente, sarà proprio nel suo agire scenico decisamente morbido e contenuto, che l’ingannevole Leon Dinkel (Giuseppe Pambieri) tirerà le fila di un’ordita trama all’Agatha Christie. Quello tra i due si rivelerà il perfetto binomio vittima-carnefice: un rapporto che nello snodarsi dell’opera subirà però un significativo rovesciamento.

Fil rouge, la musica: quella musica, che proprio in seno alla sua aurea divina rivelerà una nota discordante; la “nota stonata” in un meccanismo apparentemente perfetto. Che la musica sia salvifica? Beh, non proprio. Sarà proprio Lei sentenziatrice di condanna; strumento di vendetta.

Se fin dall’inizio fosse chiara la traccia – volutamente segnata dal regista – intorno ad un fatto storico ancora fin troppo scottante; lo sdoppievole pas de deux si tramuta in un intimo e doloroso dialogo che fino alla fine lascia lo spettatore letteralmente incollato alla poltrona in un religioso ed assordante silenzio.

Così, in una piovosa serata romana, la dirompente credibilità scenica del duo Greco-Pambieri riporta eccellentemente in vita un fare teatro nella sua tradizionalità sempre più desueta.