“Il sepolcro della notte innalza il suo nero velo, a occultare nella luce l’immensa cima stellata. Che farò su questi campi raccogliendo nidi e rami, circondato dall’aurora? E’ piena di notte l’anima!”.
E’ così che decantava il poeta Federico Garcia Lorca nel 1936 nella poesia Alba e credo non ci siano parole più adatte che queste per descrivere la messa in scena dello spettacolo Nella solitudine dei campi di cotone. (testo di Bernand Marie Koltès, regia di Andrea De Rosa e che vede protagonisti Lino Musella e Federica Rosellini). Lo spettacolo, che è in scena dal 17 al 29 maggio presso il teatro India di Roma, accoglie lo spettatore in uno scenario che ricorda una malinconica borgata pasoliniana e che apre le sue porte ad una collettiva e ricca riflessione filosofica esistenzialista. Su un palcoscenico vuoto di orpelli e pieno di vita due individui si incontrano; il venditore ha qualcosa da cedere, il cliente sembra interessato ma non viene rivelato l’oggetto né la ragione della transizione.
E’ un mercato misterioso che viene condotto nella notte, fra ellissi e allusioni. Il testo, quasi un dialogo filosofico, diventa un invito a riflettere sul mondo dell’arte, in particolar modo sul teatro, in seguito alla chiusura legata alla pandemia. Guidati dalla regia dolcemente minimalista di De Rosa, che discioglie la sua presenza attraverso i fasci flebili di luce e i suoni naturali, gli attori danzano al ritmo crudele e sublime delle parole, Lino Musella (attore, regista e drammaturgo vincitore del premio Ubu nel 2019) nelle vesti del cliente, indossa la maschera più inconsapevolmente umana, per permettere poi al personaggio di lottare contro se stesso per strapparla via ma senza riuscirci.
Capace di recitare con lo sguardo, di mimare perfettamente il suo universo interiore, la consapevolezza del palcoscenico mostrata da Lino Musella ipnotizza e sorprende il pubblico così come un vero maestro deve saper fare. Federica Rosellini (attrice rivelazione che si è aggiudicata il Nuovo Imaie Talent Award alla 74 Mostra Internazionale del cinema di Venezia nel 2017) incarna perfettamente il ruolo profetico del venditore, riuscendo a portare alla ribalta, nella contrapposizione tra i movimenti del corpo aggraziato e le parole crude che si liberano nell’aria, un testo così pieno di significato. Chi è il cliente e chi l’acquirente? In poco più di un’ora il palcoscenico si trasforma in un quadro di Kokoscha in cui due nudi nell’anima vagano erranti; dove è finita la gerarchia del sesso, l’onore, l’orgoglio e ogni forma di convenzione sociale? Tante sono le tematiche sociali sfiorate: cosa differenzia l’uomo dalle bestie? Cos’è la violenza e chi può metterla in pratica, un uomo o una donna? Ma soprattutto cosa sono un uomo e una donna, carne viva o frutto della fantasia?
E poi epoche senza tempo, perversioni, sospiri, sguardi che fanno l’amore e mani che hanno paura di toccarsi come accade sempre più spesso in questo tempo dietro la solitudine di uno schermo. Infine, a proscenio di un teatro che mette nero su bianco le distorsioni dell’anima, lo scambio di abiti come a simboleggiare che siamo tutti fatti della stessa impercettibile e fragile materia e che solo l’amore ci può salvare o distruggere. Nella solitudine dei campi di cotone è una messa in scena necessaria, drammatica, feroce ma anche nostalgica; un sospiro dopo l’altro ti accompagna per mano alla scoperta della sapienza teatrale millenaria fatta di pochi stracci e troppo cuore.