Memorie Future: fra politica e terapia, fra teatro e animazione sociale.

Bertold Brecht diceva: “l’arte non è uno specchio per riflettere la realtà ma è un martello con cui darle forma.”

Queste veritiere parole custodiscono il seme fecondo di un dibattito filosofico che dura da tempo ormai. Che cos’è l’arte e che cos’è l’artista? Che cos’è il filosofo e che cos’è l’uomo comune?  Può la scena incarnarsi in un’anima qualunque e agire, attraverso i suoi moti rivoluzionari, per ripristinare l’egualità sociale?

In epoca contemporanea, quella in cui il teatro investe sempre più spesso in ambiti scolastici ed educativi, vale la pena ricordare la singolare esperienza del regista brasiliano Augusto Boal, esiliato in Francia negli anni 70 a causa della dittatura militare. Boal si fa portatore della metodologia da lui elaborata e chiamata il Teatro dell’Oppresso (Tdo). Il Teatro dell’Oppresso (Tdo) si configura come uno strumento vantaggioso che ancora oggi si muove in una zona di confine fra politica e terapia, fra scena e animazione sociale. A condurre la conferenza online sul tema, che si è tenuta giovedì 22 settembre 2022 (a cura dei docenti Michele Monetta e Lina Salvatore dell’Accademia di Mimodramma, www.icraproject.it) è Preziosa Salatino (attrice e pedagoga, che dopo la laurea in storia del teatro segue a Parigi proprio Augusto Boal e che si specializza in teatro dell’oppresso. Nel 2006 fonda a Palermo il Teatro Atlante con il regista Emilio Ajovalasit).

Negli anni 60 del secolo scorso, la dittatura militare in Brasile di certo non fermava (come tra l’altro non è mai stato) la voce profonda e suadente del politeama, ente supremo e divinissimo che risveglia le coscienze. Augusto Boal è all’epoca un chimico che però si occupa di tutt’altro, fa teatro politico attraverso il giornale, l’arma usata è quella della contro-informazione. Naturalmente ciò non viene gradito dai piani alti e così l’uomo è esiliato in Argentina e poi in Perù. Sarà qui che conoscerà Paolo Freire e la pedagogia. Danilo Dolci, sociologo, afferma che solo la consapevolezza dell’oppressione scatena il bisogno di liberazione, così nascono il teatro-immagine (che lavora sulle sculture, risvegliando l’intelligenza corporea degli analfabeti) e il teatro forum detto anche teatro invisibile (dove un gruppo di attori fa una specie di esperimento sociale compiendo azioni forti davanti a spettatori inconsapevoli; è questa una prova generale della rivoluzione).

E’ invece in momenti storici come quello attuale, dove la comunità cerca di restare umana lottando contro le fatiche quotidiane e per fermare la meccanicità disturbante del tempo, che gli artisti combattono nella loro non accettazione di un presente poco poetico che non comprende né rispetta quel sacrificio artistico da loro compiuto (preferisco il novecento, cit.). E’ fondamentale, quindi, che strumenti come il Teatro dell’Oppresso (Tdo) ci invitino a riattivare l’intelligenza collettiva, che ci insegnino di nuovo a giocare con il nostro essere. Augusto Boal voleva, infatti, che il teatro divenisse un mezzo di informazione della realtà, scatenando la ribellione verso l’oppressore.

“Il Teatro dell’Oppresso (Tdo), è oggi utilizzato principalmente nei campi della psicologia e della pedagogia, è ora che venga preso in considerazione anche negli studi artistici”, afferma Preziosa Salatino. Attraverso queste messe in scena di forte impatto politico e sociale, Augusto Boal ha non solo sperimentato il concetto di oppressione introiettata in Occidente (dove stress e depressione sono mali che fungono da censori interni) ma ha compreso, della sua rivoluzionaria materia, la matrice socio-politica oltre che  scenica, che narra storie di conflitto e che rende lo spetta-attore protagonista . Il teatro forum, infatti, non finisce mai.

Esso non crea spettacoli compiuti, non crea memoria ma produce azioni di strada che nascono e muoiono nella comunità che li ha generati. Il teatro dell’oppresso agisce per dar voce agli emarginati, ai ribelli, agli assetati di vita abituati a guardare la luna dal tetto che si è bruciato, come diceva qualcuno. La riflessione che sorge spontanea è proprio questa, l’opera del maestro Raffaele Viviani come quello di Augusto Boal sono stati considerate vagamente provinciali o piuttosto erano scomode ad una società fintamente borghese?