Matteotti, cent’anni dopo al Basilica

Da solo al centro del palco Maurizio Donadoni ci racconta di Matteotti. L’uomo, la morte, il processo. Un salto in quel 1924 e nel biennio seguente

Matteotti un secolo dopo. 

A cent’anni dal suo barbaro omicidio, da quel giorno di giugno sul lungotevere, Maurizio Donadoni porta il segretario Socialista sul palco del Teatro Basilica, in scena fino al 19 maggio con Matteotti.

Uno spettacolo che è tutto: è teatro, è lezione di storia, è musica, è commento politico.  In piedi al centro del palco, circondato da sedie cariche di faldoni, carte, capi di abbigliamento che pian piano tra le sue mani si fanno personaggi. Alle sue spalle si scopre, pochi minuti dopo l’inizio dello spettacolo, una riproduzione del profilo continuo del Duce di Renato Bertelli.  Mussolini sta quindi sullo sfondo, dietro a quell’altra M., vero protagonista.  Un po’ storia e un po’ teatro, quindi. 

Una piccola macchina del tempo che ci porta indietro di un secolo esatto, agli albori del fascismo in quell’Italia che ancora si riprendeva dal dolore della guerra. 
Entriamo nel vivo del momento, soprattutto grazie alla musica. Donadoni canta per tutto lo spettacolo, ogni volta che ne ha occasione. Canta canzoni del ’24, canta canzoni di anni dopo. E poi stornelli, ripropone gli omaggi al regime dell’epoca e quelli che invece, a voce bassa, prendevano in giro il Duce e le sue politiche. Arriviamo a Matteotti conoscendo il mondo di Matteotti. 

Quello pubblico, in cui era immerso, e quello privato, da dove veniva. Quello che ne aveva forgiato il carattere capace di arrivare ai suoi ultimi giorni: prima al discorso in parlamento, poi a quei minuti nella macchina, attorniato dalla violenza fascista, pronto a difendersi ma forse già consapevole del destino che gli si parava innanzi.  Entriamo, in un certo senso anche fisicamente, nella Lancia Lambda Torpedo che fu per Matteotti l’ultimo approdo. Il viaggio di Donadoni non segue totalmente un filo cronologico. Parte dall’omicidio, sì. 

Ci presenta gli uomini che quel giorno attesero Matteotti sul lungotevere, ci racconta delle vicende del processo di cui poi furono oggetto. Alterna momenti in cui è narratore, in cui parla e interagisce anche col pubblico che ha difronte, a momenti in cui entra nei personaggi. 

Con un paralume e un lungo strascico cammina accanto alle donne di Chieti, dove si celebrò il processo. Entra nell’aula e diventa imputato, la sua voce si fa quella di Amerigo Dumini, il capo della squadra che rapì e uccise Matteotti. Diventa Roberto Farinacci, il Ras di Cremona desideroso di esser difensore degli accusati.  Poi lascia il pubblico ed entra nel privato della famiglia Matteotti.

Soprattutto di Velia Titta, la moglie di Matteotti. La vedova, come la chiamavano i fascisti.  La fascistoide, come la chiamavano i socialisti. 

Una donna in un mondo al maschile che chiede verità, chiede giustizia, che attende un marito che ha visto uscire come tutti i giorni e che invece non tornerà mai. 

Nel centenario di Matteotti, dopo le polemiche del 25 Aprile, nel clima strano con cui la memoria si vive, lo spettacolo di Donadoni fa due cose fondamentali. Da un lato contestualizza, racconta, descrive il tempo del delitto Matteotti non semplicemente dal punto di vista politico, ma da quello sociale, culturale, di un paese che si avviava sulla strada della dittatura, dell’uomo solo al comando.
Dall’altro riumanizza Matteotti, lo fa uscire dalla cornice mitica dell’eroe. Lo descrive coi suoi dettagli, la sua umanità, prova a ricostruire l’ultima conversazione avuta con la moglie. 

“Ogni epoca ha avuto i suoi martiri, le sue vittime, gli inutili eroi che col loro sacrificio, hanno aperto gli occhi e la strada agli altri”. Dice, citando proprio lo stesso Matteotti.
Inutili eroi. 

Forse perché non in grado di ottenere tutto ciò che avrebbero voluto, forse perché il sacrificio muove le coscienze sì, ma in maniera temporanea, poi si torna assuefatti al quotidiano. 
Che sia stato importante il sacrificio di Matteotti, a cent’anni da quei giorni, è indubbio. 

Ma per proseguirne l’opera, per curare la democrazia, la libertà, forse non serve avere in mente inarrivabili eroi. Sarebbe più semplice poter copiare normalissimi uomini.

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Matteotti – documentario teatrale scritto e interpretato da Maurizio Donadoni – Regia di Paolo Bignamini – scene e costumi degli studenti del Biennio di Scenografia dell’Accademia di Brera Eleonora Battisi, Gaia Bozzi, Hefrem Gioia, Martina Maria Pisoni, Giada Ratti, Valentina Silva, Alessia Soressi – coordinati da Edoardo Sanchi – consulenza musicale Paolo Meinardi – disegno luci Pietro Bailo – assistente alla regia Giulia Asselta – produzione Teatro de Gli Incamminati / DeSidera – Teatro Basilica dal 15 al 19 maggio 2024