Matilde D’Accardi, storia di un utero

Di tutti gli organi l’utero è quello più sociale, su cui tutti pensano di poter dire la propria. Anche davanti alla malattia, la protagonista racconta il suo in “Baubò

Come si racconta la malattia?  Ammesso certo che esista davvero un giusto e uno sbagliato per descrivere una sofferenza che è sempre sia fisica che mentale, non importa da dove cominci. Matilde D’Accardi lo ha fatto con il teatro, unendo ironia, rabbia, dolore e risa in “Baubò”, andato in scena a Carrozzerie n.o.t dall’otto al dieci novembre. Al centro la storia della sua fibromatosi uterina, della diagnosi e dell’intervento, con la conseguente seconda operazione. Anzi, ancora di più; al centro c’è il suo utero, quell’organo che sì, è dentro la donna, ma essendo mezzo di riproduzione alla fine non è che sia proprio suo, è un po’ di tutti, dallo Stato alla Chiesa fino ai passanti per strada.

Matilde Accardi

Sul palco è da sola Matilde D’Accardi, l’unica eccezione sono alcune registrazioni audio della madre, medico. Sono parole di incomprensione, una mamma vorrebbe solo dimenticare il momento in cui ha quasi perso la figlia, lei invece lo rievoca costantemente scrivendoci sopra uno spettacolo e portandolo in giro. Un esercizio terapeutico, a tratti di denuncia di cosa sia essere paziente, di come il corpo sia costretto a rispondere ad altri.

Un racconto intenso delle visite mediche, dei dottori, del modo di fare che li caratterizza, di quanto piccola ci si possa sentire su un lettino.  Con “Baubò”, che prende il titolo dalla dea greca dell’oscenità, viviamo uno di quegli spettacoli in cui ognuno può rispecchiarsi in qualche termine nella vicenda.Ci sarà chi ha subito un intervento difficile, chi ha incontrato medici competenti ma poco pratici nel parlare. Matilde D’Accardi mette a disposizione la sua storia, la racconta, la urla, ci fa sentire la sua paura, le sue ansie, la sua ironia, che poi è una tra le tante modalità di reazione ai momenti di difficoltà e angoscia.

Sul palco accanto a lei c’è una grossa sacca trasparente color carne ripiena di palloni da palestra di diverse dimensioni. È la rappresentazione fisica del suo utero malato, ci entra come un ginecologo durante la visita e poi li allontana lanciandoli, in una replica teatrale dell’intervento con cui sono stati allontanati dal suo corpo.Estratti, rimossi, portati via. Un utero pulito, pronto ad accogliere una gravidanza. Sembra questo lo scopo ultimo per tutti, far sì che un domani Matilde sana possa avere un bambino senza problemi. Qui la malattia si fa tema sociale, non è solo il liberatorio racconto di una donna che ha sofferto, avuto paura, visto la morte in faccia. Non è più raccontare se stessa, è un racconto in cui molte si possono riconoscere, quello della degradazione da paziente, donna da curare perché malata, a futura madre, donna da curare perché senza quella cura non potrà fare ciò che la natura e la società si aspettano da lei. 

Privato e pubblico, salute e sanità, dolore e aspettative sociali. Il regalo che Matilde D’Accardi fa raccontandosi è non scegliere di essere autoreferenziale, di chiederci solo di assistere alla sua storia, ma di parlare attraverso questa. Racconta cosa succede alle donne quando, di tutti gli organi, sono quelli legati alla riproduzione che vivono un momento di fragilità. 

Organi intimi ma non privati, organi sociali. Appartengono a tutti; a tua madre, al ginecologo, finanche alla fruttivendola. Perché daranno un figlio alla patria, un futuro al cognome, un nipotino ai tuoi genitori. Vedi di curarli e tenerli da conto. E usali, che stai invecchiando. Se proprio vorrai essere libera di soffrire la prossima volta ammalati da qualche altra parte.

BAUBO’ di e con Matilde D’Accardi – regia e suoni Tommaso Capodanno – scenografia Alessandra Solimene – foto di scena Manuela Giusto – Residenza Produttiva:Carrozzerie | n.o.t – Con il sostegno dell’Ass. Settimo Cielo – Teatro La Fenice di Arsoli – Semifinalista Premio Scenario 2023Carrozzerie n .o.t dall’8 al 10 novembre

Foto di scena di ©Manuela Giusto