In scena dall’8 all’11 Febbraio all’Argot Studio per raccontare, in un monologo doloroso e intenso, la vita di Christa Päffgen
L’omaggio agli artisti che più faticosamente hanno vissuto è un tema ricorrente.
Si tratta di abbattere il muro di silenzio che separa fama e dolore, che ci obbliga a credere che i soldi la notorietà bastino a essere felici. Che la realtà sia diversa è qualcosa che fatichiamo, ma per fortuna sempre meno, ad accettare.
Margherita Remotti ha scelto Nico, nome d’arte di Christa Päffgen e la sua folle e sensazionale vita.
Così il titolo dello spettacolo “Fata Morgana. un’allucinazione dalla folle sensazionale vita di Nico”, andato in scena all’Argot Studio dall’8 all’11 febbraio scorsi.
Da sola in scena, pochissimi oggetti accanto a lei sul palco perché il vero protagonista è il corpo con cui si muove, che esplode nella follia delle dipendenze, del dolore, della solitudine più intima.
Non è facile entrare nella rappresentazione di Margherita Remotti. All’inizio, anzi, si fatica quasi a capire cosa sia quel modo di muoversi, di parlare, quel continuo essere allucinata che percorre la sua interpretazione. Serve tempo per entrare nella mente di Nico, per comprendere cosa ci troviamo davanti, per arrivare all’empatia col dolore che va in scena.
Margherita Remotti sceglie una via di mezzo tra l’impersonificazione e il racconto di una biografia. Quelli che porta sul palco sono spaccati di vita, momenti, attimi che la cantante forse ha vissuto e forse no. C’è il rapporto col figlio, travagliato e impossibile, ci sono le telefonate di Andy (Warhol) e ciò che le dice Jim (Morrison).
E c’è tutto il prima, l’inizio, quelle radici d’infanzia che sono la base su cui la vita costruisce il dolore. I bombardamenti, la Germania Nazista e la Germania da ricostruire, la violenza dei soldati alleati che prima liberano i poi fanno propri i corpi e le anime delle ragazze tedesche.
Non è cronologico l’ordine in cui viene raccontata la vita di Nico, proprio come fosse un lungo delirio narrativo, forse una seduta di psicoterapia. Siamo al limite dell’ipnosi regressiva, se vogliamo; svuotarsi, liberare, raccontare, approfondire.
Ci sono riferimenti musicali, momenti di canto, ma sono il meno. Non ci serve un resoconto della vita pubblica, è il privato che viene sottolineato in questo omaggio folle e sensazionale come il titolo vuole.
Ne consegue che non è quindi necessario conoscere Nico per apprezzare il lavoro che Margherita Remotti ha fatto sul suo personaggio; più si è liberi dai pregiudizi delle conoscenze a metà, quelli che ci portano a giudicare attori e cantanti per quel che appaiono perché non sappiamo cosa sono, più si può entrare nello spettacolo e nel suo dolore.
Senza una scenografia alle spalle, solo un fondale su cui scorrono immagini quando necessario, il rapporto è a tu per tu con l’interprete e quindi con l’interpretata. Un flusso di coscienza, di fatti, di persone.
Il fatto che il palco dell’Argot Studio sia al livello dei primi posti della platea rende ancora più immersiva la rappresentazione.
Non accadrebbe lo stesso se andasse in scena altro, fosse anche un classico del nostro teatro; Fata Morgana all’Argot Studio è nel posto giusto.
Ottima la scelta finale, raccontare tramite video chi fosse Nico, i dettagli biografici che dallo spettacolo trapelano, contestualizzare in via definitiva tuto il dolore e la vita passati in scena.
Fata Morgana: un’allucinazione dalla folle, sensazionale vita di Nico – di Margherita Remotti e Jon Kellam – Con Margherita Remotti – Regia Jon Kellam – Aiuto regia Goffredo Maria Bruno – Musiche originali Alberto Laruccia – Foto locandina Mara Zampariolo – Produzione Margherita Remotti e Silvia Morini – Argot Studio 8/11 febbraio
Foto di copertina: Margherita Remotti