“Mank” di David Fincher: la recensione

Mank” è riuscito ad arrivare al pubblico solo alla fine del 2020 (su Netflix dal 4 dicembre) ma ha un passato molto più lungo. La sceneggiatura, infatti, era stata scritta negli anni ’90 da Jack Fincher, il padre del regista che lo ha potuto finalmente girare: David Fincher. Il film era nella mente del regista già a inizio carriera prima dei suoi “Se7en”, “Fight Club” e “Zodiac”. Come si può vedere anche nel film, chi ha il coltello dalla parte del manico sono gli studios e così anche per la produzione di “Mank”, Fincher non riuscì mai a trovare una casa di produzione che lo accontentasse, fino a quando Netflix non gli ha permesso finalmente di lavorare alla sua (anzi, del padre) vecchia idea.

Nel film del regista americano ci sono tante cose. Innanzitutto, di che parla? “Mank” racconta la storia dello sceneggiatore (tra gli altri di Quarto potere) Herman J. Mankiewicz, interpretato da un grandissimo Gary Oldman, durante due diversi periodi. Come nel film sul “cittadino Kane” (“Quarto potere” il cui titolo originale è “Citizen Kane”), l’approccio alla narrazione avviene attraverso salti temporali e flashback. Da un lato il periodo in cui Mankiewicz – d’ora in poi solo Mank – lavora alla sceneggiatura di “Quarto potere” dal letto di una casa isolata, bloccato in seguito a un incidente d’auto e assistito da un’infermiera tedesca e dalla dattilografa Rita Alexander (Lily Collins), nel 1940. Dall’altro gli anni ’30, la Grande depressione, la potenza di Hollywood, la politica americana della California, lo star system. In questi anni assistiamo alla vita sregolata dello sceneggiatore, l’umorismo cinico e senza peli sulla lingua, l’alcolismo e il gioco d’azzardo.

Mank era stato un critico teatrale e drammaturgo a New York e arrivò ad Hollywood nel 1926, dove la sua esperienza come sceneggiatore teatrale lo aiutò nella stesura delle sceneggiature dei film, che da quegli anni stavano passando dal muto al sonoro. Lo vediamo poi alle prese con William Randolph Hearst (Charles Dance), il magnate dell’editoria a cui poi lo stesso Mank si ispirerà per il protagonista di “Quarto potere”. Nel film di Fincher scopriamo come Mank sia entrato nel giro di amicizie di Hearst, che lo aveva avvicinato proprio per il suo umorismo, la sua oratoria e il suo essere schietto.

Il rapporto tra Mank e Orson Welles – che per buona parte del film è solo una voce al telefono – non viene approfondito se non nel finale. Si è piuttosto spettatori del rapporto che ha il protagonista con tutti gli altri personaggi: da Hearst al fratello Joseph (Tom Pelphrey), dalla “povera” – come lui stessa la definisce – moglie (Tuppence Middleton) alla diva, amante ufficiale del magnate Hearst, Marion Davies (Amanda Seyfried), fino ai potenti di Hollywood come Louis B. Mayer (Arliss Howard) – capo della casa cinematografica Metro Goldwyn Mayer (la MGM con il celebre leone che ruggisce). Storie, relazioni e intrecci che risulteranno fondamentali per scrivere la sceneggiatura del film di Welles, in cui i tratti dei personaggi e le loro narrazioni saranno liberamente ispirati dalle amicizie, dalle persone incontrate durante gli anni a Los Angeles.

Un altro tema fondamentale è però la relazione che esiste tra i media e il potere. Nella pellicola infatti buona parte è incentrata, in maniera laterale, sullo scontro tra il repubblicano Frank Merriam e il candidato democratico, ex socialista, Upton Sinclair per la carica di governatore della California. I media (i potenti) strisciano vilmente dentro il sistema politico per deciderne le sorti, contribuendo fortemente al condizionamento dell’opinione pubblica. Un tema quanto mai attutale se pensiamo allo scandalo Facebook – Cambridge Analytica per le elezioni americane del 2016.

“Mank” è in bianco e nero, ha un cast di primo livello (menzione speciale per Gary Oldman), un’ottima fotografia che riesce a raccontare la politica, l’establishment hollywoodiano, la vita di Mank e come abbia scritto “Quarto potere”. Ci mostra la sua ironia, il suo cinismo, il suo talento ma anche i vizi e problemi che lo hanno piano piano reso sempre più indesiderato. Prima di guardarlo è consigliata la visione di “Quarto potere”, annoverato tra i migliori film della storia del cinema e in assoluto uno dei più innovativi.