Ricordati sempre di ringraziare. Soprattutto se sei un regista che ha appena presentato alla critica il film capolavoro durante la tua miglior serata di sempre, ricordati di ringraziare. Hai ringraziato l’attrice protagonista, gli attori, i produttori, i macchinisti, gli elettricisti, il pubblico, tua madre, il tuo cane e te stesso ma guai a dimenticarti di ringraziare la tua compagna da cui hai preso gran parte dell’ispirazione per il film, o la tua miglior serata si trasformerà nella peggiore.
“Malcom & Marie” comincia più o meno così. Il film, uscito su Netflix il 5 febbraio scorso e diretto da Sam Levinson, vede solo due attori in scena, i due attori in rampa di lancio e attualmente molto quotati John David Washington, figlio del famosissimo Denzel, e Zendaya, che interpretano rispettivamente Malcolm & Marie. La pellicola, tutta in bianco e nero, ruota intorno all’intenso rapporto tra i due, che, tornati dalla première del nuovo film di Malcom, trasformano l’eccitante serata in un climax di rabbia e urla che vede i due amanti costretti ad affrontare una volta per tutte il loro rapporto.
In realtà in questi 106 minuti vengono affrontati più temi, senza far capire quale sia il vero scopo del film. Il nodo centrale da sciogliere c’è ed è l’amore tra i due, che non può vivere di compromessi, non può continuare senza che entrambi chiariscano le loro idee una volta per tutte. Il sentimento che li lega è potente e come scopriamo durante i film, senza fare spoiler, ciò che li lega è una storia di sofferenze ma anche di apparente rinascita, che però senza confronto scivola facilmente nell’incomprensione. Il non detto porta la relazione a un punto di svolta, ma il non detto può anche essere ciò che lega con maggiore intensità, lasciando quell’aura di mistero che avvolge una persona. Da una serata speciale nasce una controversia che viene messa in scena con estrema passione e la vita dei due viene ripercorsa tra le accuse, le grida e le lacrime.
I momenti squisitamente personali lasciano più volte il passo alla politica, facendo riferimento proprio alla non-politica che il film nel film – quello di Malcom – vuole portare. Il regista infatti con il suo lavoro non vuole toccare nessuna tematica razziale. Vuole far conoscere una storia di sofferenza, di amore, di perdizione che porta la sua protagonista a lasciarsi andare, a non saper vivere l’amore, a cercare il completo rifiuto della sua felicità. Malcom vuole affrontare dei temi esistenziali ma sa che i critici bianchi scriveranno fior di parole sul suo coraggio, da uomo e regista di colore, che ha nell’affrontare le questioni dei neri. Lui però “non [vuole] essere il nuovo Spike Lee”, perché dei registi neri non possono semplicemente creare film per il gusto del cinema, per amore dell’arte? Il suo sentimento sfocia presto in un grande monologo in cui accusa i critici, i giornalisti, di non saper declinare a parole quello che in realtà aveva veramente in testa. Un monologo folle, non nei contenuti quanto nell’esasperazione data dall’attore.
Il prodotto finale, il film vero, si rivela anche un bell’esercizio di stile (i due attori figurano anche come produttori) che in parte ha come obiettivo quello di mettere in luce le loro doti. John David Washington è sicuramente molto credibile, è carismatico ma anche fragile e porta sul piccolo schermo una personalità insicura ed egocentrica. Zendaya, con una interpretazione molto vivace e alle volte quasi fastidiosa (forse volutamente), cuce alla sua Marie un carattere oscuro, ambiguo ma anche risoluto.
Per quanto la narrazione sia comunque interessante e la storia riesca ad emozionare, il film forse va visto più per le interpretazioni dei due attori che avranno, ma in realtà hanno già da ora, un futuro radioso (e popolare).