“L’uovo di Barbablù”: i racconti al femminile di Margaret Atwood

Una raccolta di racconti con al centro una serie di protagoniste femminili: “L’uovo di Barbablù” dischiude un universo che tanto ha a che fare con la vita e le contraddizioni umane.

Direttamente dalla penna di Margaret Atwood e dal non troppo lontano 1983, “L’uovo di Barbablù”, edito da Racconti Edizioni, contiene un ventaglio di storie potenti, significative che descrivono una condizione unica, un modo d’essere e di sentire, la profondità intrinseca, personale. Il femminile. Una serie di racconti che dispiegano l’universo femminile in alcune sue sfaccettature. Storie di donne diverse con una costante: ognuna di loro è descritta e resa vera, quasi vivente grazie alla trasposizione della sua interiorità e della sua riflessione, al suo modo di pensare alle situazioni e alle persone, al loro presente. Margaret Atwood si immedesima e crea tante protagoniste mischiando sofferenze e ambiguità, contraddizione, paradossi, scene assurde, lutti, abbandono, perdita e arrendevolezza. A fare da sfondo ci sono ambientazioni quasi povere, contesti della stessa estrazione sociale medio -bassa, caratterizzati dal grigio, dalla malinconia dello stato d’animo della protagonista in questione. Non c’è nessuna figura eroica, ma il grande tributo e la rappresentazione dell’umanità così com’è, dolorosa, nelle pieghe inevitabili dell’esistenza, crudele per certi versi, vicina all’essenzialità umana.

Loulou, Christine, Alma, Yvonne, Becka, Sally, Betty, ognuna con un vissuto, un carico sulle spalle, sul punto di commettere l’azione capace di sovvertire l’ordinarietà della quotidianità, della banalità, di togliere quel velo grigio dalla loro esistenza. Protagoniste che vivono l’attimo prima del cambiamento, l’impercettibile movimento che potrebbe essere presagio di una catastrofe ormai imminente. Donne esattamente sul punto di. Ogni loro narrazione resta aperta, cristallizzata ed è qui il sorprendente di questa lettura fatta da tante parti e da tante voci: le protagoniste potrebbero rivivere in mille altri modi, escono dalle pagine finali e lasciano perplessità, dubbi e sorpresa allo stesso tempo. Niente è definitivo, statico o finito, non c’è il lieto o il cattivo finale. Ma c’è di più: il continuo rimando al presente, un legame intrinseco alla vita. Ognuno potrebbe risentire o ritrovare qualcosa di sé in queste donne.

Ogni racconto ha un proprio tempo e tra l’uno e l’altro non c’è consequenzialità. Anche la voce narrante cambia, alcuni testi sono scritti in terza persona, in altri è Margaret Atwood a immedesimarsi completamente.

È singolare che il racconto di apertura e quello di chiusura siano scritti in prima persona e dedicati a episodi familiari, riferiti a generali “madre” e “padre”, con una descrizione quasi nostalgica di quel clima e del rapporto. Non è un caso, forse, che la stessa, vera dedica nel libro fatta dalla scrittrice sia “ai miei genitori”, come una sorta di richiamo, di omaggio ai propri familiari che apre e poi chiude tutta la narrazione.

Questo legame si rivede anche nei tanti riferimenti alla vita vera: l’infelicità del matrimonio, l’insoddisfazione insita in alcune scelte e nella propria situazione, il tradimento, la sete d’amore, l’estraneità, l’illusione, la differenza insanabile tra la volontà e il mondo circostante, la voglia di rimediare, di disfare tutto o di rifare.

Questo nesso alle “cose della vita” può essere racchiuso anche nel titolo strano, particolare, “L’uovo di Barbablù”. L’immagine dell’uovo richiama e rimanda a quella condizione di chiusura, di comoda staticità, la fissità di cui alcune protagoniste soffrono e si ritrovano loro malgrado. Ma anche il momento della preparazione a qualcosa d’altro. Il riferimento a Barbablù, quello della fiaba di Perrault, è forse indice del dopo, dell’oltre che c’è e che non è dato sapere. Oltre alle possibili interpretazioni, resta un fatto: l’uovo, al momento opportuno, si dischiude, si apre a tanto altro e nelle varie vicende narrate è questo ciò che si percepisce: il momento precedente, la crepa, la piccola frattura che fa cadere il guscio. Quel prima determinante per la svolta, la chiave inserita nella porta giusta che sta per scattare. Solo che Margaret Atwood non dà la “soddisfazione” di scoprire se è effettivamente così, il come e gli sviluppi futuri. Una modalità tipica della sua scrittura particolare, profonda, ironica, scopritrice dell’animo umano, che sembra lasciare a metà, in sospeso, ma che in realtà affida quella parte mancante al lettore.

L’uovo di Barbablù” con le sue donne protagoniste, vuole svelare l’interiorità e la fragilità, le difficoltà e i tanti contrasti che si possono vivere, le fatiche e le sofferenze taciute.

Leggerlo significa mettere piede in queste vite travagliate, in parole che potrebbero tramutarsi in emozioni corrispondenti alle proprie, immergersi nell’immaginazione della Atwood per riflettere su di sé e sul mondo fuori, quello che si vive ogni giorno.

Cinema & TV
Elena Salvati

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