Al Teatro Regio di Torino è la Francesca da Rimini di Zandonini a inaugurare la nuova stagione operistica
È iniziata la stagione operistica del Teatro Regio di Torino, e per l’inaugurazione la scelta è caduta sulla Francesca da Rimini di Riccardo Zandonai, scritta a partire dalla tragedia di Gabriele D’Annunzio su libretto di Tito Ricordi e datata 1914. Un’opera che mancava dalle scene torinesi da diversi anni, e che è tornata con la regia di Andrea Bernard.
Paolo e Francesca sono un po’ il simbolo della cultura liceale, quel V canto dell’Inferno Dantesco in cui sono relegati per sempre, amanti costretti a vagare in eterno. Ma cosa v’è stato prima del tradimento e della violenza di Gianciotto? In quattro atti l’opera ripercorre la vita dei due amanti romagnoli, di quella Francesca data in sposa per pegno di guerra e di quel Paolo a cui bastò guardarla per cadere innamorato, anche se si trattava della moglie del fratello, amore impossibile.

La scenografia di Alberto Beltrame ci porta lontano dal 1200 in cui l’azione si svolge, siamo forse in un immaginario XIX Secolo, così come ci inducono a pensare anche i costumi di Elena Beccaro, soprattutto nell’elegante lilla scelto per l’ultimo atto. La scena è equilibrata, sono pochi gli elementi sul palco, necessari e sufficienti a raccontarci di quello che è il principale ambiente della vicenda, la camera di Francesca. Meraviglia creativa è, nel primo atto, lo specchio che ci racconta le due sorelle – Francesca e Samaritana – da bambine e da ragazze, a mostrarci quel che son state e quel che devono essere.
Così come l’elemento della casa delle bambole, il simbolo forse dell’innocenza perduta andando sposa senza amar davvero. E a proposito di attenzione alla scenografia non si può tacere, proprio per contrasto al resto dell’opera, del momento della guerra. Persa ogni dolcezza romantica, smarrita ogni speme: c’è il nero, c’è il potente coro maschile del Regio guidato dal Maestro Ulisse Trabacchin – che a differenza del femminile vediamo in scena – c’è il fuoco. È una violenza bruta, ma diversa da quella che vedremo nel finale della storia.
A guidare la rappresentazione Torinese l’orchestra del Teatro Regio diretta dal Maestro Andrea Battistoni, la cui curatissima esecuzione ha permesso di accompagnare il belcanto degli interpreti attraverso una partitura complessa. L’opera offre un continuo saliscendi emotivo, che mischia senza soluzione di continuità momenti di eleganza quasi barocca ad attimi più ansiogeni. È il passaggio, costante, tra la Francesca ravennate, la bella figlia di Guido da Polenta, e la Francesca riminese, moglie di Gianciotto col cuore altrove. A darle voce e anima la soprano Barno Ismatullaeva, il cui fraseggio chiaro ma dal timbro profondo riesce a delineare questa Francesca che non è solo dama da salvare ma donna che vuol rivendicare il suo ruolo nel mondo, soprattutto quando si trova accanto alle sue ancelle.
Tra queste un plauso particolare è da riservare a Valentina Mastrangelo e Albina Tonkikh, Biancofiore e Garsenda, le cui voci hanno saputo brillare in un’opera in cui i personaggi così detti “secondari” sono invece necessità. Se avessimo solo Francesca, Paolo e Gianciotto la storia esisterebbe – perché questi sono i suoi protagonisti – ma sarebbe monca, palesemente manchevole di un quid pluris. Per lo stesso motivo meritati applausi sono andati anche a Valentina Boi e alla sua Samaritana. La sorella minore che ci appare subito debole, ammalata, segno di un pezzo di vita che Francesca deve lasciarsi alle spalle per diventare dama di Rimini. Da sottolineare è anche la pregevole interpretazione di Silvia Beltrami nel ruolo di Smaragdi, che non sovrasta la protagonista ma si fa ricordare, rimane nella memoria dei passaggi migliori di questa rappresentazione.
E poi ci sono i tre uomini, i fratelli Malatesta.
Dei tre è proprio il Paolo di Marcelo Puente quello che sembra convincere meno. Non per tecnica vocale, che padroneggia bene, ma per una realizzazione scenica che forse non rende del tutto l’immagine d’amore che il personaggio Dantesco ci ha stabilito in mente. E per converso, invece, il Gianciotto di George Gagnidze è quell’uomo prepotente e rabbioso che ci immaginiamo, così da creare un equilibrio tra un’interpretazione vocale brillante e un lato recitativo premiante per il ruolo che è chiamato a portar in scena. Un discorso molto simile può valere per Matteo Mezzaro, la cui voce riesce a far trasparire tutte le sfumature di cattiveria di Malatestino, un personaggio che sa di viscido, che provoca ribrezzo, una malvagità pura, volta solo al gustare la sofferenza altrui. Sono tre facce di una famiglia, tre aspetti dello stesso sangue che mischiati insieme conducono al dramma finale.
Paolo ama, Malatestino svela, Gianciotto uccide.
Si arriva così al finale, dove è la musica a rendere compiutamente lo spirito della tragedia. Le parole sono ridotte ai minimi termini, non c’è bisogno di parlare, non c’è un Gianciotto che riassume il tradimento subito, che decanta le sue intenzioni. L’azione è nella musica stessa, altro non serve, e non solo per l’effetto attenuato dalla consapevolezza di quel che sta per accadere. Sul finale della Francesca da Rimini la musica di Zandonai farebbe comprendere quello a cui andiamo incontro anche a un alieno del tutto ignaro. E questo rafforza la bellezza tragica e romantica della scelta registica operata da Bernard, quella di raccontare un’altra storia sullo sfondo, di ricordare quel libro galeotto che è per tutti noi il simbolo per eccellenza dell’amore di Paolo e Francesca. Un momento che riassume l’animo romantico scelto come filo conduttore dell’opera, in un allestimento che prova a rendere la vicenda più universale di quanto già non sia.

Un finale che ci incanta ancora oggi ma che porta con sé una violenza che sarebbe d’uopo venisse relegata solo al teatro, l’unico luogo del mondo in cui può aver un valore.
__________________
Francesca da Rimini – Musica di Riccardo Zandonai – Libretto di Tito II Ricordi – Tratto dall’omonima tragedia di Gabriele D’Annunzio – Direttore d’orchestra: Andrea Battistoni – Regia: Andrea Bernard – Con: Barno Ismatullaeva – Marcelo Puente – George Gagnidze – Valentina Boi – Devid Cecconi – Matteo Mezzaro – Valentina Mastrangelo – Albina Tonkikh (Regio Ensemble) – Martina Myskohlid (Regio Ensemble) – Sofia Koberidze – Silvia Beltrami – Enzo Peroni – Janusz Nosek – Daniel Umbelino (Regio Ensemble) – Eduardo Martínez (Regio Ensemble) – Bekir Serbest – Scene: Alberto Beltrame – Costumi: Elena Beccaro – Coreografia: Marta Negrini – Luci: Marco Alba – Assistente alla regia: Paolo Vettori – Assistente alle scene: Giulia Turconi – Assistente ai costumi: Emilia Zagnoli – Maestro del coro: Ulisse Trabacchin – Orchestra e Coro Teatro Regio Torino – Nuovo allestimento Teatro Regio Torino – Teatro Regio di Torino dal 9 al 23 ottobre 2025
Fonte immagini: Ufficio stampa Teatro Regio di Torino





